Trentanniepassa.
Tutto attaccato, tutto d'un fiato. Come un rossitardellialtobelli in
finale. Come tutte le cose del calcio da ricordare, da portare con sé
nei sentieri della vita. Ricordo tutto del mio mundial. La sconfitta
dell'Argentina campione del mondo in carica contro il Belgio, nella
partita inaugurale. Ardiles con il numero 1. Per dire. Ricordo la mia
bicicletta, il mo album di figurine e il quaderno dove scrivevo i
tabellini di tutte le partite e dove avevo incollato i ritagli degli
stemmi delle squadre da TV Sorrisi e Canzoni. Avevo 9 anni in quella
fine primavera di trentanni fa, e un Tango appena regalato dai miei
genitori.
Avevo
Zoff, Maradona, Dasaev, Platini, Lato, Keegan. Avevo tutto il
Brasile, quel Brasile, il “mio” Brasile. Il Brasile di tutti quei
ragazzini che hanno avuto la fortuna di innamorarsi del football in
quegli anni.
E
pomeriggi e sole. Goldrake e Rossi.
I
ricordi non sono lineari, partono da un rigore sbagliato da Cabrini
in finale, a Castelnuovo di Sotto, provincia di Reggio Emilia, Emilia
Romagna, Italia, Europa del sud, Terra, e portano dove vogliono
loro. Sanno fare molto bene il loro mestiere, i ricordi. Virano
improvvisi, saltano come una catena di bicicletta, e mi ritrovo
aggrappato al bancone di un bar, con mio padre al fianco, tra le urla
di gioia per quel brasiliano di Conti che ha appena segnato una rete
al Perù. E io là in mezzo, piccolo tra i grandi al bar. Subito
rotolo con i ricordi più in là – prima, dopo, sopra, sotto non so
– quando uno sceicco scende in campo per chiedere all'arbitro di
annullare una rete della Francia contro il suo Kuwait e io davanti
alla TV, a casa del fratello di mia nonna.
L'ho
detto. L'ho scritto. Quello è stato, è il mio mundial. Non ce ne
sono stati più di mundial così, visti sull'ottovolante dei miei 9
anni, tra una partita al pallone giocata dietro la stalla e una
guardata sotto le stelle nel giardino dei miei nonni, in un
televisore che ora andrebbe bene forse come schermo di uno
smartphone. Ma quello era il mio mundial, accidenti! C'erano le reti
di Rossi contro il Brasile, contro il “mio” Brasile e quella
semifinale infinita tra la Francia e la Germania Ovest.
Il
mattino dopo la finale, in edicola con La Gazzetta dello Sport
aperta, spalancata su un trionfo inaspettato, ma i ricordi mi
rimettono in sella alla mia bicicletta. Sono di nuovo a casa, con i
miei genitori. Reggio Emilia, Emilia Romagna, Italia, Europa del sud,
Terra. Mia madre che stira, mio padre ed io che guardiamo un servizio
sui 10 goals che l'Ungheria ha rifilato al povero El Salvador. E
allora via, ad imparare i nomi impronunciabili di quegli invincibili
magiari, che poi tanto invincibili non sono e non saranno, ahiloro.
Nylasi (che ancora dopo trentanniepassa non so come si scrive),
l'eroe di serata. Non c'è nulla da fare, è il mio mundial che mi
accorgo solo ora di aver vissuto da ramingo: una partita dai miei,
una da un cugino, da amici, dagli zii, al bar con mio padre, in
cortile con gli amici appesi alla radio accesa, da un vicino di casa,
alla bocciofila con mio nonno.
Il
mio mundial.
Poi
sono arrivati gli altri mondiali. Gli anni allo stadio. Altre
biciclette e altri album Panini. Un altro calcio. Ma il mio mundial
no, non è più tornato
Sono
trentanniepassa che ne aspetto un altro.
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