“Tu
inglesissimo Kilpin,
che assicuravi che il solo rimedio per dimenticare una rete subita è
un sorso di whisky, e per questo tenevi una bottiglietta di "Black
and White", nascosta in una piccola buca dietro a un palo.”
Così Vittorio Pozzo, non
proprio uno qualsiasi, racconta in un paio di righe uno dei più
importanti pionieri del calcio italiano, un inglese che qua da noi
giocò al football a Torino e Milano lasciando un ricordo indelebile.
Nato a Nottingham nel
1870 da famiglia tutto sommato agiata, poté studiare e trovò ben
presto lavoro presso un'industria tessile della città e,
soprattutto, si innamorò di un gioco che da quelle parti già andava
per la maggiore: il football. Già a tredici anni con alcuni amici
fondò una squadra, il Garibaldi,
con la quale al sabato andava a giocare nel famoso Halfha Crown
round, lo sconfinato spiazzo comprendente più di venti campi da
calcio che il Municipio affittava alle società per mezza corona.
La sua non fu una
carriera particolarmente brillante, giocò sempre in seconda
divisione, prima nel Notts Olympic e poi nel St. Andreus, senza
diventare mai un professionista del pallone, mantenendo il proprio
posto di lavoro consentendogli però, poco più che ventenne, di
imbarcarsi nell'avventura più esaltante della sua vita.
Nel 1891 ricevette
infatti una chiamata da un altro personaggio fondamentale per il
calcio italiano, Edoardo Bosio che lo chiamò a Torino per impiantare
i primi telai meccanici, e i due ben presto scoprirono di avere in
comune non solo la conoscenza dell'industria tessile, ma qualcosa che
a noi preme molto di più: la passione per il football.
Da noi questo sport si
praticava da pochissimo tempo e Kilpin non ci mise tanto a rendersene
conto:
“Non
avevo ancora vent'anni quando venni in Italia, stabilendomi dapprima
a Torino. Era il settembre del 1891. Ero arrivato da poche settimane
quando, una domenica, il mio carissimo amico e compatriota Savage,
valentissimo giocatore, mi invitò ad accompagnarlo in piazza d'armi,
per partecipare ad un match. Il football era da pochissimi anni
praticato a Torino e a Genova. Quel giorno, si disputava un match
amichevole tra la squadra inglese e quella italiana del FC Torinese.
Mi invitarono a occupare un posto nella prima linea della squadra
inglese. Mi rimboccai i calzoni, deposi la giacca ed eccomi in gara.
Mi avvidi di due cose curiose; prima di tutto che non c'era ombra
dell'arbitro; in secondo luogo, che mano a mano che la partita si
inoltrava, la squadra avversaria italiana andava sempre più
ingrossandosi. Ogni tanto uno del pubblico, entusiasmandosi, entrava
in gioco, sicchè ci trovammo presto a lottare contro una squadra
formata almeno da venti giocatori.”
A Torino giocò sia con
il Football Club Torinese sia con l'Internazionale di Torino e con
quest'ultima squadra disputò anche due finali del campionato,
perdendole però entrambe. Come racconta lo stesso giocatore inglese
in una intervista-ricordo rilasciata a Lo Sport Illustrato
del febbraio 1915, la sconfitta del 1899 fece da volano alla sua
voglia di rivincita e promise ai genoani, che lo avevano battuto, che
avrebbe fondato una nuova squadra con la quale li avrebbe finalmente
sconfitti. Così, sul finire del 1899, trasferitosi ormai stabilmente
a Milano, con alcuni amici connazionali fondò il Milan e riuscì
finalmente a vincere il campionato nel 1901, vittoria che poi riuscì
a conquistare anche nel 1906 e nel 1907. Chiuse la carriera, ormai
trentottenne, l'anno successivo, dopo una partita amichevole giocata
con la maglia rossonera contro i francesi del Montreaux.
Morì
a soli 46 anni, c'è chi dice per cirrosi epatica, chi per cancro ai
polmoni. Nel numero del 1° novembre 1916 Lo Sport
Illustrato e la Guerra così
ricordava alle nuove generazioni ciò che era stato Kilpin, “un
nome magico, che fece vibrare le prime folle di appassionati del
delirio sportivo per un grande campione; un nome ch'è quasi tutto
nella storia del nostro football.”