giovedì 25 settembre 2014

La Biblioteca del football perduto

PANE E FOIE GRAS di Stefano Bedeschi
“Sogna, il ragazzino Michel. Come tutti quelli che hanno l’età per sognare. Inventa interminabili partite di calcio nel cortile davanti al bar del nonno, laggiù a Jouef. Il locale è pieno di italiani, perché nonno è arrivato in Lorena da Agrate Conturbia, provincia profonda di Novara, in cerca di fortuna. Sogna, il ragazzino Michel. Inventa sfide mondiali che naturalmente vince, perché con un po’ di fantasia si vince sempre. Il suo idolo si chiama Pelé, e in mezzo al cortile Pelé è lui. Per questo, ogni volta che gli capita di dover firmare un pezzo di carta, si diverte a storpiare il proprio cognome. Il ragazzino Michel si trasforma, diventa Peleatini.”
Questo libro ripercorre le prodezze di Platini, ossigeno per gli amanti del calcio, non solo juventini. Non solo per noi, fortunati che abbiamo vissuto in presa diretta il suo tempo, ma anche per chi è giovane oggi, a testimonianza che c’è stato un tempo in cui il calcio era gioia, era sogno, era bellezza. Era poesia.


Maggio 2014
Versione Ebook: Urbone Publishing
Versione Libro: Ilmiolibro Edizioni
Pagine 188 - Euro 14,00
 
 Stefano Bedeschi nasce a Reggio Emilia, nel 1962. Da sempre appassionato di calcio e tifosissimo della Juventus, comincia ben presto a collezionare immagini e notizie riguardanti la squadra bianconera.
Nel 2004 si iscrive in un forum juventino e, da quel momento con il nickname di Bidescu, comincia una stretta collaborazione con molti siti riguardanti il mondo bianconero (fra i quali J1897, Vecchiasignora e Tuttojuve) e con il settimanale Nerosubianco, prima in versione cartacea quindi nella versione on-line.
Presto, apre un proprio blog, contenente più di quattrocento biografie di giocatori che hanno vestito la gloriosa casacca della Juventus. Nel blog si possono trovare anche racconti di partite storiche della Vecchia Signora e ritratti di campioni che hanno incrociato i loro destini con la Juventus.
In definitiva, Bedeschi è un accurato cantastorie, capace di miscelare tutti gli ingredienti che fanno del calcio il gioco più bello del mondo.



martedì 23 settembre 2014

Vengono gettate le basi per il futuro Patto di Londra

La vittoria alleata della Marna indusse Imperiali ad informare il governo italiano che l'Inghilterra era sicura della vittoria finale.1 Il 14 settembre Di San Giuliano prospettò agli ambasciatori l'eventualità di un prossimo crollo degli Imperi centrali e il 16 scriveva ad Imperiali per una ripresa delle trattative, ponendo l'accento sui prevalenti interessi adriatici dell'Italia, spiegando il giorno successivo che condizione pregiudiziale era l'intensificarsi delle offensive serbe ed un'azione navale alleata in Adriatico.2 Sempre Salandra, nel volume "La neutralità italiana", confessò come fino alla Marna non avesse pensato all'intervento:
"Nell'agosto la situazione internazionale si andò delineando e il sentimento del Paese si andò chiarendo e orientando a guisa da escludere ogni possibilità di intervento secondo i termini dell'alleanza. Nel settembre, dopo la Marna, io ebbi la visione ormai chiara della via che si doveva seguire. La intensa considerazione delle probabilità circa l'esito della lunga guerra mi fornì le ragioni della risoluzione conforme ai sentimenti che spesso non mi riusciva di dissimulare"3
Salandra dunque era preoccupato da un lato dalle vittorie dell'Intesa che, temeva, avrebbero potuto portare ad una rapida pace separata tra Austria e Russia, mentre dall'altro a preoccuparlo erano le nostre deficienze militari che forse avrebbero costretto a prolungare la neutralità fino a primavera: per questo chiese a Cadorna un quadro della situazione. La risposta fu chiara. A giudizio di Cadorna l'esercito italiano non era ancora in grado di affrontare un esercito forte ed organizzato e numeroso come quello austroungarico, ma aggiungeva sanche che nello specifico della situazione venutasi a creare, con le forze austriache e tedesche massicciamente impegnate su vari fronti, e tenuto conto dell'elevato spirito che in quei momenti animava il Paese, riteneva si sarebbe potuto entrare in azione con fiducia e con buona speranza di favorevoli risultati militari non prima della primavera.4
Nel frattempo Di San Giuliano gettava le basi dell'intervento chiedendo lumi agli ambasciatori a Londra, Parigi e Pietroburgo con un telegramma del 25 settembre, importante perché verrà poi a costituire l'ossatura del futuro patto di Londra: "Il governo reale desidera mantenere la neutralità dell'Italia ritenendo che questo sia il mezzo migliore per proteggere i suoi vitali interessi. Ma se l'Austria si mostrasse incapace di mantenere l'equilibrio nell'Adriatico, l'Italia, per difendere i propri vitali interessi, sarebbe costretta ad accordarsi coi nemici dell'Austria ed a schierarsi al loro fianco." Nei vari punti si parlava innanzitutto del modus procedendi che avrebbe previsto efficaci operazioni navali delle flotte alleate in Adriatico per mettere in essere l'interesse Adriatico dell'Italia; il testo proseguiva prevedendo, tra le altre, clausole relative all'impegno di non concludere pace separata, alla stipulazione di una convenzione militare e navale e alla conclusione di un prestito. Il telegramma continuava poi con la richiesta di garanzie per la conservazione delle colonie e possibili vantaggi - con rettifiche di confine - nel caso che le potenze dell'Intesa ottengano colonie tedesche. Per l'Albania Di San Giuliano si manteneva fedele all'idea della spartizione fra gli Stati balcanici, ma chiedeva Valona "in piena sovranità all'Italia".5 Interessante notare come al primo punto si fosse contemplata l'ipotesi che il modus procedendi, il motivo dell'intervento, fosse costituito da operazioni navali dell'Intesa nell'Adriatico che ponessero in causa interessi italiani ed obbligassero l'Italia ad entrare in guerra. Carlotti rispose il 28, esprimendo marginali riserve su qualche punto, ma ribadendo la necessità di una rapida decisione per rendere efficace l'intervento italiano.6
La situazione alla fine di settembre era di stallo: sul fronte i francesi non riuscivano a far arretrare i tedeschi dall'Aisne e le vittorie russe contro l'Austria stavano per essere paralizzate dalla controffensiva austro-tedesca; Di San Giuliano sospendeva le conversazioni con l'Intesa e Sonnino rifletteva sull'opportunità di restare neutrali ancora per alcuni mesi, mentre Bollati comunicava a Di San Giuliano come per la Germania fosse sufficiente che l'Italia mantenesse una benevola neutralità7
Questo lo stato delle cose quando prese l'avvio il nuovo campionato di calcio, destinato a non vedere mai la propria fine.

1 DDI, serie V, vol.I, n°588
2 DDI, serie V, vol.I, nn°670,703,726
3 ANTONIO, SALANDRA, Op. cit., pagg.173-174
4 LUIGI, ALBERTINI, Op. cit., pagg.352-358
5 DDI Serie V vol I n°803
6 DDI, serie V, vol.I, n°827
7 DDI, Serie V, vol.I, n°931

venerdì 19 settembre 2014

Papa Benedetto XV e il ritorno del Torino dalla tournée sudamericana

Il Vaticano, fermamente neutralista, modificò il proprio atteggiamento col passaggio del pontificato da Pio X a Benedetto XV, che avvenne con la fumata bianca del 3 settembre. Questo passaggio segnò un progresso nei rapporti tra Italia e Santa Sede, fino alla costituzione su iniziativa del neoeletto pontefice di un "tramite confidenziale" nella persona del barone Carlo Monti; ma la politica inaugurata da Benedetto XV era seguita con estremo interesse ed attenzione da tutti i belligeranti, visto che all'interno di entrambi gli schieramenti la presenza di forze cattoliche era rilevante. L'ascesa del nuovo pontefice fu seguita con grande attenzione anche dalle potenze dell'Intesa, i cui rapporti con la Santa Sede si erano via via deteriorati a vantaggio di una grande influenza delle rappresentative diplomatiche degli Imperi centrali1
Sul fronte le sorti del conflitto ritornavano di nuovo in equilibrio. L'offensiva russa mise in seria difficoltà gli austriaci e preoccupò tanto i comandi tedeschi da indurli a trasferire oltre centomila uomini dal fronte occidentale a quello orientale, mentre l'esercito francese si stava velocemente riorganizzando sulla Marna: il 5 settembre i francesi lanciarono un improvviso contrattacco cogliendo di sorpresa i tedeschi e dopo combattimenti durati più di una settimana, l'esercito francese riuscì a far ripiegare gli invasori verso i fiumi Aisne e Somme. Contemporaneamente i russi battevano l'esercito austro-ungarico nella battaglia di Leopoli (8-12 settembre), occupando la Galizia.
Interessante è riportare quello che Salandra scrive a proposito delle ripercussioni che la battaglia della Marna ebbe sull'opinione pubblica italiana:
"Alla guerra gli italiani volentieri non partecipavano, ma l'interesse per essa si accresceva ogni giorno perché sentivano, istintivamente i più, per ragione gli altri, che sarebbe stato impossibile non parteciparvi prima o poi e che dal suo esito potevano dipendere le sorti della nazione. Quando la guerra scoppiò, il solo sentimento vivace e diffuso era…l'avversione all'Austria. Ma, in seguito, per l'atto di prepotenza sul Belgio e per la proclamata solidarietà dei due Imperi, onde la parola "tedesco" andava riacquistando fra noi significato d'oppressore ereditario che aveva ai tempi del Risorgimento, si determinò una viva corrente di simpatia per le armi dell'Intesa…Fu una vera esaltazione quando si seppe dell'invasione arrestata alle porte di Parigi."2
Le vicende della guerra si intersecavano sempre più con la vita sportiva. Ne è testimone, suo malgrado, Vittorio Pozzo di ritorno con il suo Torino dalla trionfale tournée estiva nel sud dell'America, come bene racconta nelle sue memorie pubblicate ne Il Calcio Illustrato, quando di ritorno a bordo del “Duca degli Abruzzi” dopo dieci giorni di traversata, poco prima di Gibilterra “non fummo svegliati da due cannonate e ci trovammo la via sbarrata da un incrociatore inglese che s'era messo di traverso sulla nostra rotta. Venne a bordo un picchetto armato, e per poco non pagai caro lo scherzo di essermi messo a parlare tedesco in presenza dell'ufficiale inglese che lo comandava: mi avevano preso per un riservista germanico e volevano portarmi via. All'arrivo a Genova, uno degli amici che ci aspettavano sul molo agitava, nella mano, una quantità di fogli verdi e gialli. Erano i richiami per mobilitazione, od esercitazione. Ce n'era per tutti, ci volevano da tutte le parti: 3° Alpini, 4° Bersaglieri, 5° Genio Minatori, 92° Fanteria. Impallidimmo. Quella guerra, sulla cui durata avevamo tanto scherzato, era lì, con le fauci aperte, a ghermirci. Quando, qualche settimana dopo, fummo tutti in grigio-verde Mosso III, detto 'Grignolin' scrisse la già menzionata lettera ai carabinieri per farsi prendere anche lui. Era il suo "e se non partissi anch'io, sarebbe una viltà", in solidarietà coi compagni della indimenticabile 'tournée sudamericana”.3

1 ITALO, GARZIA, La Questione Romana durante la I guerra mondiale, pag.13-15, ed. Scientifiche Italiane, Napoli,1981
2 ANTONIO, SALANDRA, Op. cit., pagg. 189-190
3 VITTORIO, POZZO, I Ricordi di Vittorio Pozzo publicato in Il Calcio Illustrato, 1949-1950

martedì 16 settembre 2014

L'arbitro prima dell'arbitro

In seguito alla mobilitazione generale la Direzione della FIGC ha sospeso gli incontri che ancora devono aver luogo a Genova, Milano, Roma, Pisa.”

 
Il giorno in cui venne letto questo comunicato – possiamo dirlo, ora – finiva il football dei pionieri. Venne letto dagli arbitri all'inizio delle partite di domenica 23 maggio 1915 quando era in programma l'ultima e decisiva giornata dei due gironi, settentrionale e centrale: ci si giocava l'accesso alla finale, mica uno scherzo.
Il campionato si interrompeva sul più bello, quindi, perchè l'Italia da quel giorno avrebbe dovuto pensare a situazioni ben più drammatiche, con decisioni da prendere ben più gravi. Non che decidere di entrare in guerra contro l'antico alleato fosse stato uno scherzo: ci sono faldoni enormi pieni zeppi di documenti diplomatici più o meno segreti relativi a quei mesi, ma questa è un'altra storia.
Non parleremo di guerra, oggi. E non parleremo neppure delle aspre polemiche che seguirono a quel comunicato, di come, per alcuni, si sarebbe potuto giocare ugualmente – e di come in realtà si giocò qualche partita di terza categoria.
Parleremo di chi lesse questo comunicato, quel pomeriggio lontano del 1915.
Parleremo dell'arbitro, Frankie. Quindi, per stare tutti quanti più sereni, offro un giro di camomilla – magari corretta.
Non c'è neanche bisogno di dirlo, per iniziare il racconto dobbiamo fare le valigie e trasferirci in Scozia e in Inghilterra.
In principio, forse lo saprai, non c'era l'arbitro. E si giocava ugualmente a football. Tutto era lasciato al fair play dei giocatori in campo e le decisioni – in caso di dubbio – erano prese di comune accordo dai due capitani. Certo questo valse fintanto che le partite furono giocate ad uso e consumo dei giocatori stessi, ma quando entrò in scena il pubblico, seguendo con passione le partite e tifando per l'una o per l'altra squadra, allora le cose cambiarono. E cambiarono talmente tanto che si fece urgente la necessità di una figura terza che dirigesse il gioco e dirimesse le controversie. Insomma, c'era bisogno di qualcuno che prendesse le decisioni.
Ma non credere che tutto si sia svolto così velocemente. In realtà è soltanto l'International Board che “vestirà” l'arbitro di competenze e decisioni tali da renderlo simile a quello che noi oggi conosciamo. Come saprai, l'International Board è solo del 1886, però già dal 1871 si giocava regolarmente la F.A. Cup: cosa accadeva, dunque?
All'inizio, come detto, erano i capitani che cercavano di trovare un accordo sulle situazioni più controverse, ma ben presto alle partite iniziarono ad assistere gli spettatori e fu sempre più difficile per i capitani non farsi prendere dall'umore dei tifosi e avere il distacco necessario per trovare l'accordo. Pertanto nel 1874 si tentò di correre ai ripari con l'introduzione della figura dell'umpire: ogni squadra poteva schierare a bordo campo un giudice di gara, in caso di controversia i due umpires avrebbero dovuto trovare la soluzione alla diatriba.
Ma il football correva. E il suo successo ancora di più.
Pochi anni e fu pressante il bisogno di avere un soggetto davvero neutrale. Ci siamo quasi, caro Frankie, ci siamo quasi.
Nel 1881 la Football Association per gli incontri di F.A. Cup introdusse la figura del referee, un soggetto terzo che aveva il compito – bada bene – di dirimere le controversie che potevano sorgere tra gli umpires delle due squadre. Capito? L'arbitro nasce per aiutare i due giudici, non per regolamentare il gioco! È una figura profondamente diversa da quella che oggi conosciamo.
Ora, immaginati la scena: il campo, i giocatori e ai bordi, vicino al pubblico, i due umpires e il referee che guardano la partita dall'esterno ed intervengono solo in caso di proteste. Te lo stai immaginando? Bene, perchè pressapoco è quello il quadro inglese di quegli anni (vabbè, poi dovresti anche immaginarti grandi folle e stadi veri e propri, ma di questo ne parleremo). Non durerà tanto, comunque. Perchè l'International Board una decina d'anni dopo, ridisegnerà la figura dell'arbitro, delineandone le mansioni.
Sopratutto, lo porterà in campo.
Abbiamo, finalmente, l'arbitro come tutti noi lo conosciamo: lui in campo e i due umpires che rimangono ai bordi (detto tra parentesi, questi ultimi con il nuovo secolo verranno “trasformati” in guardalinee, e così la terna arbitrale è fatta)
Sì, va bene dirai tu, ma non avevamo incominciato parlando dell'Italia? Ci torneremo, perchè da noi le cose sono andate un po' diversamente, ma non ora: ne parleremo la prossima volta.

lunedì 15 settembre 2014

L'invasione del Belgio

Il 4 agosto, i primi contingenti tedeschi invadevano il territorio del Belgio per attaccare la Francia da nord-est, la Gran Bretagna non potendo tollerare l'aggressione ad un paese neutrale che si affacciava sulle coste della Manica, dichiarava guerra alla Germania il giorno seguente. Così il Ministro degli Esteri inglese Sir Edward Grey si pronunciò davanti alla Camera dei Comuni: “Io chiedo alla Camera di considerare la crisi dal punto di vista dell'interesse e dell'onore inglese e degli obblighi inglesi”1
In quei giorni l'imperatore tedesco Guglielmo II notava come l'Austria avrebbe dovuto assolutamente offrire grandi compensi all'Italia per convincerla ad entrare in guerra, senza sentirsi legati alle promesse fatte, una volta terminato il conflitto, atteggiamento, questo, che sarà sempre più ricorrente nelle trattative degli Imperi centrali con l'Italia. Il 6 Tschirschky, su ordine dello stesso imperatore, si recò da Berchtold a chiedergli per la prima volta in forma solenne la cessione del Trentino, senza peraltro successo. Infatti lo stesso giorno l'ambasciatore austriaco a Berlino comunicò al governo tedesco l'esito negativo del passo compiuto da Tschirschky, dando copia della dichiarazione che in materia di compensi il consiglio comune dei ministri aveva deliberato seguendo il punto di vista di Berchtold;2 quest'ultimo, comunque, il 23 comunicò all'ambasciatore a Berlino l'incondizionato accoglimento dell'interpretazione italiana e tedesca dell'art. VII; il 25 Flotow e Macchio, che aveva sostituito Merey, ne fecero dichiarazione a Di San Giuliano, il quale, pur accogliendola benevolmente, rispose che non era ancora giunto il momento di parlare di compensi.3
Gli invasori giocano a football in Belgio

Nelle ultime due settimane di agosto, le armate del Reich dilagarono nel nord-est, costringendo gli avversari ad una precipitosa ritirata, per attestarsi ai primi di settembre lungo il corso della Marna, a poche decine di chilometri da Parigi. Nel frattempo, sul fronte orientale, le truppe tedesche, comandate dal generale Hindenburg, fermavano i russi sconfiggendoli fra agosto e settembre nella battaglia di Tannenberg. Le vittorie riportate sul fronte fecero rapidamente cambiare in Jagow la considerazione verso l'Italia, portandolo a ritenere che non si dovesse più parlare del Trentino. Sosteneva inoltre che l'Italia moralmente non si fosse guadagnata il diritto ai compensi e che la Triplice Alleanza, a causa dell'atteggiamento italiano, era virtualmente finita, anche se formalmente poteva continuare a "vegetare" ancora per un po’. Quindi per Jagow, tra la fine di agosto e l'inizio di settembre, la politica da condurre nei confronti dell'Italia era quella di temporeggiare, mentre le armi avrebbero risolto a favore degli Imperi centrali la guerra. La Germania sul terreno della battaglia aveva dimostrato di non aver bisogno dell'aiuto dell'Italia e, di conseguenza, l'alleanza poteva dirsi esaurita. Ma Jagow andò oltre e prospettò i futuri rapporti con l'Italia una volta terminata la guerra. L'inimicizia tra l'Austria e l'alleato italiano era cresciuta in quegli ultimi tempi in modo tale che prima o poi si sarebbe giunti ad una "spiegazione" ed allora la Germania avrebbe lasciato all'Austria mano libera contro il governo di Roma.4


1 Cfr. La Stampa del 5 agosto 1914, n.214
2 ALBERTO, MONTICONE, La Germania e la neutralità italiana:1914-1915, Pagg.28-31, ed. Il Mulino, Bologna, 1971
3 Ibidem, pagg.35-38
4 ALBERTO, MONTICONE, Op. cit., pagg.38-39

venerdì 12 settembre 2014

La neutralità italiana

Il 2 agosto ancora Sonnino ripeté a Salandra i suoi dubbi sull'opzione della neutralità1, ma ormai la scelta era stata compiuta e per la sua ufficializzazione si attese il rientro a Roma del Re Vittorio Emanuele III il quale, avvicinato da Salandra, lo autorizzò ad emettere la dichiarazione ufficiale.2 Verso mezzogiorno, Di San Giuliano comunicò ufficialmente alle rappresentanze estere la decisione del Consiglio dei ministri e, nello stesso tempo, compilò un telegramma rivolto agli ambasciatori dove in maniera laconica avvertiva della decisione presa di restare neutrali, pregando i destinatari di rendere nota la decisione ai governi.3
Il giorno dopo Di San Giuliano per la prima volta accennò al Trentino come compenso per una entrata in guerra dell'Italia al fianco dei due Imperi, incontrando il secco rifiuto dell'Austria; ma mentre Berchtold si perdeva sulle interpretazioni dell'art. VII, i governi dell'Intesa non perdevano tempo e già il 1° agosto, quando ancora la neutralità italiana non era ufficiale, Francia e Russia esprimevano il parere che convenisse attirare l'Italia verso di loro, promettendole Valona.4 Il 4 Carlotti dava comunicazione di questi scambi di vedute a Di San Giuliano, mentre il giorno seguente Sazonov avanzava una "confidenziale" proposta a Carlotti, accennando al Trentino.5 Il 7 agosto Carlotti apprendeva sempre da Sazonov che le tre Potenze dell'Intesa erano disposte a riconoscere all'Italia l'annessione del Trentino e di Trieste, nonché "in generale la signoria dell'Italia nell'Adriatico". Il giorno dopo Sazonov convocò Carlotti per confermargli la proposta, aggiungendovi la Dalmazia e insistendo col prospettare i grandi vantaggi derivanti da un rapido intervento italiano.6
Insomma, le rappresentanze italiane all'estero assumevano precisi atteggiamenti esprimendo i loro orientamenti. Mentre Carlotti lavorava con i rappresentanti dell'Intesa, Avarna il 2 agosto inviò a Di San Giuliano un dispaccio nel quale sosteneva la necessità per l'Italia di intervenire a fianco delle Potenze centrali:
"…spetta per contro al R. governo che ha nelle mani la situazione del Paese, di scegliere la via più atta a tutela dei nostri interessi e dei nostri doveri morali verso l'alleata…"7
Di San Giuliano il 3 indirizzò ad Avarna e Bollati questa lettera:
"Espongo a V. E. tutte le ragioni per le quali il R. governo ha dovuto dichiarare la neutralità dell'Italia nell'attuale conflitto.
In un Paese democratico come l'Italia non è possibile fare una guerra, ed ancor meno una guerra grossa e rischiosa, contro la volontà ed il risentimento della Nazione. Ora, salvo una piccolissima minoranza, la Nazione si è subito rivelata unanime contro la partecipazione ad una guerra originata da un atto di prepotenza dell'Austria contro un piccolo popolo che essa vuole schiacciare, (…), per ambizioni politiche e territoriali più o meno dissimulate e contrarie agli interessi dell'Italia."
"Avremmo dovuto imporre al bilancio dello Stato ed all'economia nazionale, già adesso in condizioni non floride,(…), immensi sacrifici che avrebbero aggravato il malcontento"
"Avremmo esposto le nostre città marinare a gravi offese, (…), avremmo visto distruggere la nostra flotta dalla flotta anglo-francese rimanendo per alcuni anni privi di marina militare con durevole danno di tutti i nostri interessi politici ed economici e di tutta la nostra posizione nel Mediterraneo e nel mondo.
"E tutto questo per ottenere cosa?
"Superfluo dire quali tristi eventi si sarebbero prodotti in caso di sconfitta della Triplice Alleanza; ma, se questa avesse riportato una mediocre vittoria, non avrebbe avuto la possibilità di darci compensi adeguati; e, se avesse riportato vittoria completa, riducendo per molti anni Francia e Russia ad impotenza, non avrebbe avuto né interesse né volontà di darci compensi proporzionati ai nostri sacrifici.
"Infatti V. E. ricorda che Austria e Germania hanno sempre rifiutato di consentire a determinare i compensi, e Merey ha sempre escluso che potessero comprendere in tutto o in parte le provincie italiane dell'Austria.
"In qualunque modo, dopo la guerra e la vittoria comune conseguita da noi a ben caro prezzo, la delusione nel Paese sarebbe stata grandissima e pericolosa per le istituzioni.(…)"8
Due giorni dopo, Avarna riferì l'opinione di Berchtold in merito, il quale riteneva che la mancata partecipazione italiana alla guerra avrebbe potuto compromettere il piano delle Potenze della Triplice, quindi il 12 agosto lo stesso Avarna comunicò a Di San Giuliano che Berchtold si aspettava che l'Italia si conformasse alla stipulazione dell'art. III della Triplice, spiegando come Austria-Ungheria e Germania fossero state trascinate alla guerra contro la loro voglia.9 Il 3 agosto, intanto, Italia ed Austria-Ungheria avevano raggiunto un accordo di massima sull'Albania: Di San Giuliano precisava di non volere in alcun modo approfittare del ritiro delle navi austriache da Durazzo - a causa della guerra - per assicurare all'Italia "una posizione superiore alla parità" in Albania, intendendo "restar fedele agli accordi"10


1 Cfr. LUCIANO, MONZALI, "Sidney Sonnino e la politica estera italiana dal 1878 al 1914" in "Clio", n°3, 1999, pag.442
2 ANTONIO, SALANDRA, Op. cit., pag.108
3 DDI, Serie V, vol.I, n°7
4 LUIGI, ALBERTINI, Op. cit., vol. III, pag. 339
5 DDI, Serie V, vol.I, nn°43,65 In nota al documento n°43 risulta che il 1° agosto Poincarè, parlando con Iswolski, espresse il parere di "tentare di attirare l'Italia promettendole Valona e libertà d'azione in Adriatico" Sazonov rispose il 2 che "non aveva obiezioni all'attribuzione all'Italia di Valona"
6 DDI, Serie V, vol.I, n°133. Sull'argomento cfr. anche nn°.120,179
7 DDI, Serie V, vol.I, n°11
8 La lettera è stata pubblicata da Salandra, qui è ripresa da LUIGI, ALBERTINI, Op. cit., vol. III, pagg.315-316
9 DDI, Serie V, vol.I, n°209
10 DDI, Serie V, vol.I, n°35

mercoledì 10 settembre 2014

L'Assemblea generale della F.I.G.C. dell'agosto 1914

Solo il 1° agosto Berchtold, messo alle strette dalla situazione ormai irreversibile e dopo aver ricevuto la notizia da Merey per la quale l'Italia era propensa alla neutralità "provvisoria" sembrò decidersi ad accettare l'interpretazione italo-tedesca dell'art. VII: esigeva però dall'Italia un atteggiamento amichevole rispetto alle operazioni di guerra, come dimostra la risposta dello stesso Berchtold a Merey:
"Vedo dal telegramma di V. E. del 1° corrente che il governo italiano avrebbe l'intenzione di prendere eventualmente parte attiva nell'imminente guerra europea in un momento ulteriore. Di fronte a tale circostanza ho detto oggi al duca d'Avarna quanto segue: "Onde evitare qualsiasi malinteso tengo a constatare che le dichiarazioni fatte il 1° corrente al duca d'Avarna rispettivamente all'interpretazione dell'art. VII del nostro trattato d'alleanza sono state fatte sulla base della nostra ferma convinzione che l'Italia adempia dall'inizio i suoi doveri di alleata conformemente all'art. III del trattato. La mobilitazione russa contro di noi e contro la Germania, decretata senza motivi plausibili, come pure le violazioni di frontiera commesse da pattuglie russe in parecchi punti della frontiera russo-tedesca che ora si annunziano, sembrano ragioni sufficienti per considerare il causu foederis come intervenuto" 1
Contrario alla posizione di neutralità decisa dal Governo fu Sonnino, che nell'incontro con Salandra del 1° agosto fece presente i propri dubbi sulla saggezza di tale scelta:
"le probabilità erano che in terra vincessero la Germania e l'Austria, meglio preparate e di cui l'intesa fin da prima della presentazione della nota austriaca alla Serbia era evidente. Come saremmo rimasti noi? Ci vedevo la fine della grande politica per l'Italia"2
Di diverso parere Giolitti, che a Parigi espresse a Ruspoli l'opinione che non sussistesse il casus foederis e che sarebbe stato opportuno prendere contatto con l'Inghilterra "della quale dobbiamo restare amici"3
Mentre le diplomazie di mezza Europa erano in fibrillazione, la F.I.G.C. proseguiva la sua attività convocando l’assemblea generale a Torino per i giorni del 1 e 2 agosto, quando venne deliberato il nuovo organigramma del campionato 1914-15, il quale venne suddiviso in 6 gironi formati da 6 squadre ciascuno, secondo il criterio della regionalità; al termine delle eliminatorie, le migliori due di ciascun girone e le quattro migliori terze avrebbero formato i quattro gironi di semifinale, ciascuno di quattro squadre. Le vincenti di ciascun girone di semifinale avrebbero quindi formato il girone finale che avrebbe laureato il vincitore del campionato.
Inoltre venne anche deliberato il nuovo regolamento per il campionato 1915-16:
Le squadre classificate ai primi tre posti dei sei gruppi eliminatori del campionato 1914-15, in complesso 18 squadre, formeranno la divisione A di prima categoria; le altre 18 formeranno la divisione B, con l’avvertenza che le tre ultime classificate cadranno nella seconda categoria, detta promozione, lasciando i tre posti vuoti alle tre migliori squadre che emergeranno da un girone di qualificazione al quale parteciperanno le squadre vincitrici dei singoli campionati regionali di promozione. Le divisioni A e B saranno suddivise in tre sottosezioni di sei squadre ciascuna. Le prime due squadre classificate al termine di questi gironi eliminatori sottosezionali, in complesso sei per ogni divisione, parteciperanno al girone finale per la designazione della squadra campione. Si svolgeranno contemporaneamente tre gironi finali: due di prima categoria, divisione A e B, e quello di promozione. Le tre squadre classificatesi ultime nelle loro eliminatorie, cioè le ultime di ogni sottosezione, cadranno automaticamente nella categoria inferiore, e al loro posto ascenderanno le tre squadre classificatesi prime nella divisione minore. Così pure avverrà nei riguardi della divisione B con la categoria promozione”4
Regolamento che, come vedremo e come sappiamo, sarebbe rimasto lettera morta a causa della guerra.


1 Cfr. LUIGI, ALBERTINI, Op. cit., vol. III, pagg.312-313
2 SIDNEY, SONNINO, Diario 1866-1922, Vol.II, pag.9, Laterza, Bari, 1972
3 DDI, serie V, vol.I, n°6
4 Cfr. Corriere della Sera del 3 agosto 1914, n. 212 e La Stampa del 3 agosto 1914, n. 212

lunedì 8 settembre 2014

La biblioteca del football perduto


ARRIGO di Jvan Sica (Ed. InContropiede)
Arrigo (il cui sottotitolo è: La Storia, lidea, il consenso, la fiamma) è la storia romanzata degli anni di Arrigo Sacchi alla guida del Milan. Scelto come allenatore da Silvio Berlusconi, allinterno di una strategia del consenso molto composita, diventa in breve luomo nuovo del calcio mondiale e costruisce una filosofia sportiva che va oltre il gioco in sé.
Il libro racconta questo percorso (calcistico e personale) che dà vita ad una delle squadre migliori di tutti i tempi e crea un personaggio pubblico amato e allo stesso tempo odiato come forse nessun altro in ambito sportivo.
In Arrigo c’è il Sacchi rivoluzionario, quello che ha dato tutto se stesso per realizzare la sua idea. Con un perfezionismo maniacale che lo ha portato più volte ad essere colpito da stress da lavoro.
 Jvan Sica (Salerno, 1980) è uno scrittore con il desiderio di portare la letteratura sportiva sugli scaffali migliori delle librerie. Ha scritto LEuropa nel pallone. Stili, riti e tradizioni del calcio europeo, Una stella cometa. Biografia di Andrea Fortunato, Italia, 1982. Fa parte del gruppo di scrittori Sport in punta di penna e da anni tiene il blog Letteratura sportiva. Lontano dal computer fa la mezzala

venerdì 5 settembre 2014

La dichiarazione di guerra dell'Austria-Ungheria

Sempre il 28 luglio l'Austria-Ungheria dichiarava guerra alla Serbia.
La Stampa nell'edizione del giorno seguente pubblicò un'intervista ad un alto diplomatico della Triplice Alleanza il quale, in buona sostanza, si esprimeva senz'altro per la pace, ma non una pace a tutti i costi, bensì una “pace condizionata alla protezione dei suoi interessi e più di tutto degli interessi dell'alleata Austria, i quali in fondo costituiscono la base della dignità, dell'onore, della stabilità della Triplice alleanza.”1
Immediata fu la reazione del governo russo che, il giorno seguente, ordinò la mobilitazione delle forze armate estesa all'intero confine occidentale - e non solo alle frontiere austro-ungariche - per prevenire un eventuale attacco da parte della Germania. Il piccolo fiocco di neve aveva iniziato a rotolare giù a valle: il governo tedesco interpretò questa decisione come un atto d'ostilità nei suoi confronti e il 31 inviò un ultimatum alla Russia, intimandole l'immediata sospensione dei preparativi bellici. L'ultimatum cadde nel vuoto e di conseguenza il giorno dopo la Germania dichiarò guerra al governo russo; lo stesso 1° agosto la Francia, legata alla Russia da un trattato militare, mobilitò le sue forze armate. Ancora la Germania rispose con un ultimatum e con la successiva dichiarazione di guerra del 3 agosto.
La guerra nel cuore d'Europa non era più una minaccia, ma drammatica realtà.
Nei telegrammi mandati ad Avarna e Bollati il 29 e il 30, Di San Giuliano esigeva da Berchtold che dichiarasse esplicitamente se riteneva o meno in vigore l'art.VII, perché in caso di risposta negativa l'Italia sarebbe stata costretta a fare "una politica non favorevole all'Austria"2 Concludeva il 31 ribadendo che in ogni caso l'Italia avrebbe dovuto impedire ogni ingrandimento territoriale dell'Austria.3
Berchtold venne autorizzato dal consiglio dei ministri comuni di Austria-Ungheria del 31 luglio, ad aprire all'Italia la prospettiva di un compenso in un unico caso, cioè nell'ipotesi che l'Austria avesse proceduto ad una occupazione durevole di territorio serbo, ribadendo, con altre parole, il concetto già più volte espresso per il quale non riteneva sussistere l'art. VII per occupazioni temporanee di territorio serbo; inoltre nel caso le circostanze lo avessero reso necessario e sempre che l'Italia avesse adempiuto ai suoi obblighi di alleata, si sarebbe potuto discutere la cessione di Valona all'Italia. Subito Berchtold affrontò il discorso con Avarna, raggiungendo un accordo. Ma non c'era alcuna differenza sostanziale con le promesse del 28, il Trentino - al quale mirava Di San Giuliano - era sempre escluso e per questo anche questa offerta venne rifiutata dal governo italiano.4
Sempre il 31 luglio si riunì il Consiglio dei Ministri italiano nel quale si deliberò all'unanimità la neutralità italiana di fronte alla guerra. A questo passo Salandra e Di San Giuliano giunsero attraverso l'interpretazione dell'art. IV della Triplice il quale diceva che nel caso una grande potenza non firmataria avesse minacciato la sicurezza degli Stati di una delle altre parti contraenti e la parte minacciata si fosse vista costretta a fare la guerra, le altre due parti si sarebbero obbligate, verso il loro alleato, ad una benevola neutralità. Se era vero che la Serbia non poteva di certo essere definita "grande potenza" e pertanto teolricamente il caso di specie non rientrava in detto artivcolo, lo era però senza dubbio la Russia che con tutta probabilità si sarebbe schierata al suo fianco, in caso di attacco.
La sera stessa del 31 Di San Giuliano metteva al corrente Flotow della decisione italiana, dicendo che l'azione austriaca contro la Serbia era aggressiva e che quindi non ricorreva il casus foederis, aggiungendo che l'Italia non era stata precedentemente informata e che perciò non si poteva chiederle di prender parte ad una guerra contraria agli interessi italiani. 


1 Cfr. La Stampa del 29 luglio 2014, n. 207
2 DDI, Serie IV, vol. XII, nn°722,754
3 DDI, Serie IV, vol. XII, nn°778,797
4 LUIGI, ALBERTINI, Op. cit.,vol. III, pagg.282-285

giovedì 4 settembre 2014

WALKIN'ON THE FOOTBALL: Stagione 1 Puntata 2

1898, LE ORIGINI DEL FOOTBALL IN ITALIA: La Federazione e il primo campionato

Se il 6 gennaio 1898 è una data fondamentale per il gioco del football dalle nostre parti, non si deve credere che non siano state giocate partite negli anni precedenti. Per tutto il 1897 a Genova si gioca a Sampierdarena e a Ponte Carrega; a Torino al Parco del Valentino o in Piazza d'Armi o al Velodromo, e i giornali ne parlano e la gente inizia a fermarsi a guardare questi eccentrici giovanotti correre dietro ad una sfera. E nascono squadre. In quell'anno nella città sabauda vedono la luce lo Sporting Club Juventus, su di una panchina che poi diventerà famosa, e la Reale Società Ginnastica.
Si gioca, dunque. E Torino è il palcoscenico con più rappresentazioni. Certo, è la città dove ci sono più squadre. E si provano soluzioni ardite. Verso la fine del 1897, mentre alcuni studenti decidono che è giunto il momento di fondare la Juventus, al Velodromo il marchese Ferrero di Ventimiglia, Bosio e il ginnasta Falcheri, con le loro rispettive squadre, si sfidano in un torneo. Rispettivamente il Football Club Torinese, l'Internazionale e la Reale Società Ginnastica – questa con anche la seconda squadra, in sostituzione last minute dell'Unione Pro sport di Alessandria.
Se a Torino si giocava che era un piacere, a Genova non si era da meno. Non solo Genoa Cricket and Athletic Club: infatti si segnala l'organizzazione da parte della sezione football del Club Pedestre, durante le gare sociali, di alcune rappresentazioni dimostrative di incontri di football. Sempre a Genova, per i festeggiamenti del primo centenario del Tricolore, la Federazione Ginnastica Italiana organizzò il secondo campionato di giochi ginnastici, con inclusione del football. Lo citiamo solo perchè la prima edizione – quella del 1896 – venne vinta dall'Udinese ma fu bellamente ignorata dalla Federazione del football, che da subito volle smarcarsi dal football giocato dai ginnasti.
Questo per dire che se la data d'inizio del calcio italiano viene fatta coincidere con il 1898, non bisogna credere che non si giocasse – e anche tanto – al football negli anni immediatamente precedenti. A Torino, a Genova. Ma anche a Milano, a Udine, a Palermo e a Villa Borghese, a Roma.
Però il 1898 è davvero un anno decisivo.
Nascono la Federazione e il campionato: scusa se è poco...
Ti ho detto che all'inizio non sai con esattezza che è un inizio. Lo fai e basta. Anche i dirigenti delle squadre che abbiamo citato lo hanno fatto, e basta. Nel senso che non si sono preoccupati di lasciarci delle memorie, delle tracce documentali. No, niente di tutto ciò. Parlavano molto, all'epoca ma scrivevano poco o nulla i dirigenti delle prime società. Ecco perchè non possiamo fare come gli inglesi, che hanno una data e un luogo ben precisi da venerare ogni volta che parlano dell'inizio del football. Noi non abbiamo il nostro 26 ottobre 1863. Però sappiamo che si iniziò a pensare ad una federazione che avesse lo scopo di regolamentare l'attività delle prime società già durante la gara del 6 gennaio 1898, di cui abbiamo già parlato. Si discusse, se ne parlò successivamente in occasione di altre partite e si giunse – il 26 febbraio 1898 – alla definitiva costituzione della Federazione Italiana del Football, a Torino. Primo presidente il conte D'Ovidio. Al contempo venne indetto il primo campionato di football per la giornata del 8 maggio 1898: e questa sì, che è una data ove storia calcistica e storia del Paese si incrociano per bene.
Quattro squadre partecipanti: Società Ginnastica Torino (maglia blu con striscia rossa orizzontale), Internazionale Torino (maglia a strisce verticali bianconere), Genoa Cricket and Athletic Club (maglia bianca) e Football Club Torinese (maglia a strisce verticali giallonere)
Ci volevano 25 centesimi quella mattina del 8 maggio per entrare al Velodromo Umberto I, a Torino, per assistere alle eliminatorie, che videro il prevalere dell'Internazionale sul Football Club Torinese (1-0) e del Genoa sulla Ginnastica Torino (2-1). In virtù di questi risultati si arrivò alla finale del pomeriggio: tre gli ordini di posti per il pubblico, con prezzi che andavano dai 25 centesimi sino ad 1 lira per godersi lo spettacolo dal palco.
Era la prima finale del primo campionato di calcio italiano e se la giocavano il Genoa e l'Internazionale di Torino. Mentre a Milano quasi 130 persone che chiedevano lavoro ed un abbassamento del prezzo del pane morivano sotto le cannonate dell'esercito, a Torino un centinaio di spettatori poteva dire: “io ci sono”. Con tutta probabilità, però, nessuno lo disse a nessuno, perchè quando è l'inizio di qualcosa non lo sai mai. Lo fai e basta.
Come già saprai, vinse il Genoa contro l'Internazionale per 2-1: nel primo tempo passò in vantaggio la squadra genovese, nel secondo tempo pareggiò quella torinese; nel primo dei due tempi supplementari, Leaver riuscì a segnare la rete decisiva per i genovesi.
Il Genoa, quindi, fu la prima squadra a poter iscrivere il nome nell'albo d'oro del campionato italiano di calcio, e lo farà anche nei due tornei successivi.
A dirla come si deve, è proprio una bella storia l'inizio del football in Italia.
Non lo pensi anche tu?

martedì 2 settembre 2014

Reazioni italiane all'ultimatum dell'Austria-Ungheria alla Serbia

Immediatamente dopo la notizia dell'ultimatum, Di San Giuliano subito telegrafò ad Avarna e Bollati incaricandoli di comunicare ai ministri degli Esteri presso cui erano accreditati, che se l'Austria-Ungheria avesse proceduto ad occupazioni territoriali senza il consenso dell'Italia, avrebbe violato l'art. VII. In più, aggiunse che in caso di guerra, trattandosi di azione aggressiva da parte dell'Austria-Ungheria, l'Italia non aveva l'obbligo di intervenire, e, comunque, un intervento italiano avrebbe potuto trovare una giustificazione agli occhi dell'opinione pubblica, solo se fosse stato possibile fornire a questa la certezza di un vantaggio corrispondente ai rischi.1
Le prime reazioni vennero da Berlino: il 25 Bollati riferì di aver prospettato a Jagow quale potesse essere la qualità dei compensi, e cioè la cessione del Trentino e la contemporanea cessione di Valona a titolo di garanzia. Jagow "trovava perfettamente giustificata la seconda domanda. Quanto alla prima, egli diceva che naturalmente le difficoltà sarebbero state grandissime, ma che forse momento non sarebbe stato mai più opportuno per tentarla"2 Bollati il 26 con telegramma fece sapere che Jagow, non solo condivideva l'interpretazione italiana dell'art. VII, ma aveva dato istruzioni a Tschirschky per discuterne, raccomandando, comunque, di inoltrare le richieste direttamente a Vienna; Avarna, intanto, confermava di aver avuto assicurazione da Tschirschky che questi si stava adoperando per indurre il governo di Vienna ad una soluzione pratica riguardo la questione dei compensi.3 Di San Giuliano, dal canto suo, non ritenne di dover seguire quanto suggeritogli da Jagow, come scrisse a Bollati
"…non sono possibili trattative dirette fra Italia ed Austria. Esse condurrebbero a una quasi certa rottura. E' urgentissimo che tali trattative vengano iniziate per opera della Germania. Unico compenso territoriale possibile per noi è la cessione di una parte delle provincie italiane dell'Austria corrispondente al suo ingrandimento territoriale altrove"4
Il 27 la situazione peggiorava. Di San Giuliano rompeva gli indugi e si spingeva anche oltre il timore di una rottura; infatti scrisse ad Avarna e a Bollati che un ingrandimento territoriale austriaco avrebbe costituito una violazione del trattato e che l'Italia si sarebbe potuta indurre ad allinearsi alla Russia e alle altre Potenze. Di fronte alle tergiversazioni austriache Di San Giuliano incominciava ad irritarsi, e così il 28 luglio inviò tre telegrammi quasi contemporaneamente, coi quali intese stringere i tempi con gli alleati. Nel primo dichiarava:
Non vedo bene perché ci debba riuscire difficile di sostenere contemporaneamente le due tesi del diritto al compenso e del non obbligo a partecipare alla guerra. Mi pare che la seconda tesi serva a dar forza alla prima, perché può porre condizioni meglio chi non è obbligato che chi lo è…"5
Affermazione, questa, importante perché si fondava sul principio – rafforzandolo - per cui la partecipazione alla guerra, obbligatoria ai fini difensivi, era del tutto indipendente dall'obbligo ai compensi quando fosse stato alterato lo status quo.
Nel secondo telegramma Di San Giuliano ripeteva che finché Berchtold non avesse accettato l'interpretazione italiana e tedesca dell'art. VII, di fatto non sarebbe esistita Triplice Alleanza nelle questioni balcaniche, perché l'Italia avrebbe dovuto seguire una politica conforme a quella di tutte quelle Potenze che al pari dell'Italia avevano l'interesse ad impedire qualsiasi ingrandimento territoriale austriaco; nel terzo telegramma, infine, veniva ancora ribadito che la condotta austriaca escludeva per l'Italia il casus foederis.6


1 DDI, Serie IV, vol. XII, nn.° 468,488
2 DDI, Serie IV, vol. XII, n°524
3 DDI, Serie IV, vol. XII, nn°550,556
4 DDI, Serie IV, vol. XII, n°575
5 DDI, Serie IV, vol. XII, n°671
6 DDI, Serie IV, vol. XII, nn°672,673

lunedì 1 settembre 2014

1898, LE ORIGINI DEL FOOTBALL IN ITALIA: Torino e Genova


All'inizio mica si sa che è l'inizio. All'inizio lo fai e basta. Poi capisci che è un inizio. Ma soltanto dopo, quando tutto già sta procedendo. Quando la prima volta l'hai già vissuta. Per il football in Italia capitò pressapoco la stessa cosa.
C'è stato chi ha portato un pallone di ritorno da qualche viaggio in Gran Bretagna, c'è stato chi ha visto alcuni marinai inglesi prendere a calci una sfera su qualche molo, in attesa di ripartire.
E c'è stato qualcuno che ha imitato. Perchè qualcuno che imita, stanne pur certo, lo trovi sempre nelle belle storie. Imitare è il primo passo per fare una cosa come si deve, per poterla assimilare e poi farla meglio. Ma questo non c'entra.
Torniamo al football.
Torino, Genova. Due città, crocevia di destini, di scoperte scientifiche, di lotte politiche e di amore per il football. All'inizio ci sono queste due città, con la loro curiosità. Bosio, Ferrero da Ventimiglia, il Duca degli Abruzzi nell'ex capitale del Regno, gli inglesi, i marinai, Spensley, Dapples nella città portuale più importante d'Italia. I primi nomi sono questi, c'è poco da fare. È grazie a loro se oggi siamo ancora qua ad appassionarci nel vedere un gruppetto di ragazzi correre dietro ad un pallone.
Se vogliamo fare un po' di storia come si deve, alcune date sono necessarie.
A Torino si giocava al foot-ball (sì, con il trattino...) già verso la fine degli anni'80 del XIX secolo: Bosio, con alcuni colleghi dell'azienda per la quale lavorava aveva formato nel 1887 il Football and Cricket Club Torino, mentre nel 1889 il Duca degli Abruzzi e il marchese Ferrero di Ventimiglia avevano formato una loro squadra, i Nobili Torino. Queste – si dica per inciso per non suscitare disappunto in nessuno – possono essere considerate le due squadre più antiche d'Italia. Ebbero, però, vita breve perchè già nel 1891 le stesse si fusero per dar vita all'Internazionale Torino.
A Genova, 120 anni fa, per mano inglese (presso il consolato britannico) nacque il Genoa Cricket and Athletic Club, per dar modo alla numerosa comunità di Sua Maestà di stanza a Genova di praticare i cari giochi della terra natia: cricket e atletica.
E vabbè, e il football?
Dopo. Verrà dopo. Nella seconda metà degli anni'90, quando un medico inglese diventerà socio del club e aprirà la sezione football, dando la sterzata decisiva per le sorti della società. Il suo nome? James Richardson Spensley.
Un'altra data fondamentale per chi ha voglia di ricordare come tutto ebbe inizio, è quella del 6 gennaio 1898: a Genova si incontrano il Genoa e una selezione formata dai migliori giocatori del Football Club Torino e dell'Internazionale Torino. A dir la verità l'incontro avrebbe dovuto disputarsi l'8 dicembre del 1897, ma la neve abbondante fece rinviare la sfida. Di questa partita sappiamo tutto. Grazie a Gianni Brera che nella sua “Storia critica del calcio in Italia” pubblicò il borderò completo dell'incontro, con tanto di numero di spettatori, incasso, spese. Tutto, insomma. La partita venne vinta dalla squadra torinese, con un goal di Savage, il cassiere incassò un bel ricavo di 64 lire e tutti al termine della sfida andarono a brindare a champagne presso il consolato britannico a Genova.
Da quel momento il football non si fermò più. Le due squadre si affrontarono altre volte tra gennaio e marzo, ma ciò che più conta è che sempre in quei giorni si fece strada l'idea di creare un'associazione che stabilisse regole certe e univoche da adottare per giocare al football. E di questo fondamentale momento ne parleremo. Per il momento vale forse la pena rileggere come La Gazzetta dello Sport concluse il racconto di quella partita:

Rientrati a Genova i soci del Genoa Cricket and Athletique Club, che già molto cortesemente avevano dato una refezione mattutina ai loro avversari, li invitarono ad un sontuoso pranzo. Lo presiedeva il console inglese M.r Kean che aveva alla sua destra il marchese Ferrero ed alla sinistra il gentilissimo M.r Fawcus.
Allo champagne il console di S. M. Britannica brindò agli ospiti con parole gentilissime, e gli rispose il marchese Ferrero, augurandosi di veder presto a Torino i fotballers genovesi, per riprendersi quegli allori che molto umilmente avevano raccolto poche ore prima i torinesi.
E così, fra la più schietta allegria e la più cordiale ospitalità, ebbe termine questa festa dello sport.