I giorni più belli
di una vita racchiusi in un orologio, una storia di amicizia e
rispetto che si perde nella notte dei tempi e che meglio di altro
racconta chi sia stato Henry “Herry” Goodley, uno dei primi
pionieri del football in Italia.
Nato
nel 1880 a Nottingham, Goodley giocò per diversi anni in un paio di
squadre minori inglesi, senza mai diventare professionista in patria
e probabilmente di lui non avremmo ricordato nulla se agli inizi del
XX secolo non si fosse trasferito a Torino per lavoro. All'epoca era
dipendente di una ditta tessile di un imprenditore svizzero che tanta
parte ebbe nella storia pionieristica del football nostrano: Alfred
Dick era diventato presidente della Juventus da poco quando chiamò
Goodley a Torino per farlo giocare nella sua squadra. In realtà,
come si legge nel volume di Alfredo Corinti Amichevolmente
Juventus, Goodley nella Juventus
con la prima squadra non giocherà nessun incontro di campionato e
scenderà in campo soltanto una volta, in occasione di un'amichevole
del 1903 che la Juventus giocherà, contro il Club Athletique di
Ginevra, imbottita di riserve e di alcuni giocatori del F.C. Torinese
in quanto il giorno dopo i bianconeri avrebbero dovuto disputare la
finale del campionato contro il Genoa.
Se quindi Goodley
non lo ricordiamo certo come giocatore, il suo nome si lega alla
storia della Juventus per un altro motivo: è infatti lui assieme al
suo connazionale Savage che ordina a Nottingham le nuove maglie per
la Juventus, quelle a strisce bianconere che se in un primo momento
vengono accolte con disappunto, finiranno per diventare l'icona della
squadra torinese.
Non solo. Goodley
lega il proprio nome alla storia del football italiano per la sua
carriera di arbitro. All'epoca era usanza che ogni società fornisse
anche gli arbitri e la Juventus scelse tra i suoi soci proprio
Goodley in base alla profonda conoscenza del regolamento che il
britannico possedeva. Fu uno dei migliori arbitri del periodo
pionieristico e non stupisce che proprio a lui sia stata affidata la
direzione del primo incontro della nostra Nazionale, il 15 maggio
1910 contro la Francia.
Ma
l'orologio di cui si parlava all'inizio che c'entra? Ce lo spiega
molto bene Stefano Bedeschi nel suo La Juve oscura
quando riporta un brano di Mario Pennacchia, un frammento di una
storia che meglio non potrebbe raccontarci di quegli anni eroici, di
quei pionieri che si agitavano a caccia di una palla tra Ottocento e
Novecento. Terminato di arbitrare l'incontro del 10 maggio 1913 tra
Italia e Belgio, Goodley saluta tutti e se ne ritorna in Inghilterra.
Gli amici juventini decidono di regalargli, in segno di amicizia e
riconoscenza, un orologio e per questo organizzano – grazie alla
Gazzetta del Popolo –
una sottoscrizione di 25 centesimi a persona. L'iniziativa ha
successo, l'orologio viene acquistato ma Goodley è più rapido di
tutti e lascia l'Italia prima che il regalo possa essere consegnato.
A quel punto scatta una ricerca spasmodica dell'amico in tutti i
recapiti noti e meno noti, ma dell'inglese non si hanno più notizie.
Quando la guerra finisce, gli juventini riprendono le ricerche sino
al giorno in cui giunge la notizia della morte di Goodley e così
pensano bene di appiccicare sull'orologio un'etichetta “Destinato
a Mister Goodley, forse morto”e
di consegnarlo alla redazione della Gazzetta del Popolo
e lì ci rimane, anno dopo anno, dimenticato sul fondo di un
cassetto. Più nessuno ci pensa fino ad un bel giorno d'inizio 1930
quando nella sede della Juventus – ora di Edoardo Agnelli – si
presenta un attempato signore che dice di chiamarsi Henry Goodley. Il
passaparola è contagioso e ben presto una gran folla vuole
riabbracciare il vecchio amico e, tra una chiacchiera e l'altra, si
scopre che Goodley una volta lasciata l'Italia era finito in Russia e
lì era stato travolto da una rivoluzione che lo aveva costretto a
vagare per il paese e a ritornare in Inghilterra soltanto diversi
anni dopo. Così a qualcuno venne in mente la storia dell'orologio,
di quel regalo che quasi vent'anni prima era stato pensato per mister
Goodley: ci si precipita nella sede della Gazzetta del
Popolo per cercarlo e –
miracolo! - viene effettivamente ritrovato, nel fondo di un cassetto
e finalmente donato all'amico di un tempo che, ricevendolo, si lascia
andare, commosso: “Quest'orologio mi ricorda i giorni più
belli della mia vita”.
I
giorni, aggiungiamo noi, dei primi calci al pallone...