Quella sfera di cuoio
neppure tanto aggraziata a Reggio Emilia aveva iniziato a rotolare e
a prendere calci da pochi anni, per lo più nell'indifferenza
generale. Quella piccola cittadin era entrata nel XX secolo in punta
di piedi, con quella sua saggezza contadina che guardava all'oggi
preparandosi al futuro bevendo vino rosso nelle sue osterie.
Eppure, quasi nessuno si
era era reso ancora conto che il futuro aveva le sembianze di quella
sfera di cuoio neppure tanto aggraziata, di quella sfera che a furia
di calci aveva iniziato a rotolare nel selciato antistante la
Palestra fatta nascere dal garibaldino Camparini, perché l'esercizio
fisico – ne era convinto – avrebbe prodotto copiosi e salutari
benefici. Che poi lo sappiamo che il destino, oltre ad essere cinico
e baro, spesso ha anche un sense of humor tutto suo, per dire
che Camparini amava sì lo sport ma non certo questo nuovo football,
ma proprio la palestra da lui regalata ai reggiani sarebbe diventata
uno di quei luoghi dove i ragazzini avrebbero gettato il seme
rivoluzionario del football, come si dice.
Il calcio, il football,
l'oppio di un popolo ancora di là a venire, a Reggio Emilia non
aveva certo scaldato gli animi se non di uno sparuto gruppetto di
baldi giovani che, anzi, ben presto aveva preso non solo a prendere a
calci quella sfera di cuoio – che continuava a non essere molto
aggraziata – ma anche a dare dei nomi alle squadre che spuntavano
qua e là come funghi. Agli inizi degli anni'10 il bel suol
d'amore veniva cantato dai nazionalisti, i socialisti contavano i
primi morti sacrificati al sogno libico e i pochi colpiti dalla
freccia di Cupido per il football giocavano e facevano piano piano
proseliti.
Tanto che nel 1913 a
Reggio Emilia ci innamorammo finalmente del football.
Perché il 1913 è
davvero l'anno della rivoluzione calcistica reggiana, tra la povertà
endemica di Borgo Emilio e il sogno dell'affrancamento dalla povertà
che aveva le sembianze di quelle officine meccaniche che da pochi
anni avevano ridisegnato il paesaggio appena fuori le antiche mura.
Quella rivoluzione scandita dai calci a quella sfera di cuoio, che
abbiamo già avuto modo di introdurre nel racconto, la vive appieno
un giovane che si divide sentimentalmente tra afflati nazionalisti e
calci a quella sfera di cuoio, un giovane che è uno dei motori
dell'attività calcistica a Reggio Emilia tanto che è grazie a lui
se nell'anno di grazia del Signore 1913 ai prati del Mirabello ci
arriva a giocare addirittura l'Internazionale di Milano.
L'Internazionale di
Milano!
Accidenti, questi hanno
già vinto un titolo italiano, sono forti, belli, aitanti e
tecnicamente danno del tu a quella sfera di cuoio!
E verranno a Reggio a
giocare!
Un torneo!
Questa sì che è bella!
Il giovane reggiano in
questione è Ulderico Pedroni, liceale e aspirante giornalista,
nazionalista e consigliere di una squadra nata da poco, ma con un
futuro prossimo affatto male: il Reggio Football Club. Per
l'occasione i prati del Mirabello vengono sistemati in maniera tale
che la sfera di cuoio – che intanto assume una certa grazia –
possa rotolare bene e il pubblico stia bello comodo ad assistere allo
spettacolo.
Già, il pubblico: ma
quanti andranno a vedere le partite?
Pedroni si dà un gran
da fare a pubblicizzare l'evento, ne scrive sui giornali, anima caffè
e osterie, sa che quello è un momento decisivo, un'occasione unica,
la classica occasione che non ci si deve far scappare.
Piove.
Accidenti se piove
quella domenica!
Viene giù a barili per
tutta la mattinata: se non smette chi è quel povero cristo che ha
voglia di mangiarsi in tutta fretta il suo piatto domenicale di
cappelletti in brodo per andare a vedere dei giovinastri in mutandoni
che si accapigliano inseguendo una sfera di cuoio? Il destino,
cinico, baro, ironico è anche un po' insensibile e ci si mette
sempre in mezzo. Pare proprio non voglia concedere al giovane gioco
del calcio la possibilità di flirtare con i reggiani e ha aperto le
cateratte del cielo. Magari ci ripensa, dai, in fondo il torneo
inizia tra qualche ora, magari il destino lo si può cambiare.
Perlomeno qualche volta accade.
No, non vi racconterò
che al pomeriggio uscì un bel sole primaverile a scaldare la
sonnacchiosa Reggio Emilia.
Non ve lo racconterò
perché non accadde.
Ma le favole, quelle
belle, quelle che magari diciamo di non amare perché siamo tutti
d'un pezzo, ma che in fondo amiamo perché se non il cuore quantomeno
ci scaldano due bei pezzi di erbazzone da gustare con del Lambrusco
in compagnia, dai sì, quelle favole lì insomma, esistono, eccome se
esistono, e sono più potenti del destino, un vento rivoluzionario e
vigoroso che spazza via nuvole e temporali.
Ulderico Pedroni e gli
altri poco prima di lasciare le loro abitazioni alzano il naso
all'insù: non piove più, è già qualcosa, ma il sole ecco, il sole
proprio non si vede. Andiamo a giocare, che tanto noi si gioca con
qualsiasi tempo! Sì, noi sì, ma qualcuno a vederci verrà? Eh,
perché come già si è detto Reggio non è che abbia perso la testa
per il football. Sino a quel giorno.
Però il destino sarà
anche cinico, baro, ironico e insensibile, ma lo si può cambiare.
E quel pomeriggio il
destino del football a Reggio cambiò.
Oltre duemila e
cinquecento persone – molte le donne – anche senza il conforto
del sole si accomodarono sulla piccola tribuna e lungo il perimetro
del campo non prima di aver lasciato la loro offerta alla causa. Si
poteva dire che finalmente era scoppiato l'amore tra la città di
Reggio Emilia e il football!
Vive l'amour! E
viva anche il football, ché da quel giorno nulla sarebbe stato più
come prima a Reggio Emilia.
Non
molto lontano da lì, dai prati del Mirabello si intende, già da
alcuni mesi si stava lavorando a qualcosa di grosso. Un sogno
talmente ardito, talmente abbacinante che il destino – cinico,
baro, ironico, insensibile e umorale – si sarebbe piegato per
sempre alla volontà di potenza del calcio reggiano.
In
quel 1913, mentre ad altre latitudini si stavano addensando nubi
sempre più scure, a Reggio Emilia ci innamorammo talmente tanto di
quella palla di cuoio – ora sì di una grazia estasiante! - che non
ci accontentammo di guardare e giocare questo nuovo gioco, ma facemmo
di più, completammo la nostra piccola, domestica e universale
rivoluzione con la costruzione di uno stadio.
Sì,
sì, avete letto bene: uno stadio!
Fatto
proprio come si deve, con il muro di cinta e la tribuna. A Reggio
Emilia.
Un
prodigio di quella gente umile e vitale che concorse volentieri
sostenendo con una sottoscrizione popolare le spese per la
realizzazione di un piccolo gioiello sportivo.
Vero
che il destino spesso è cinico, baro, ironico, insensibile, umorale
e dispettoso ma quella volta, quella volta in quel 1913 fu anche
sconfitto. E questo lo pensarono in tanti il giorno
dell'inaugurazione, quando il pubblico delle grandi occasioni si
lasciò coccolare al nuovo campo sportivo alla Badia dalla musica e
dalle reti con le quali il Reggio vinse nettamente contro i cugini
mai amati del Parma.
Quella
palla di cuoio così aggraziata con il suo rotolare aveva portato un
vento nuovo in città: non lo sentite anche voi?
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Ulderico Pedroni |