martedì 29 marzo 2016

COPPA FEDERALE 1916

17. Girone finale: settima giornata, la mano pesante della F.I.G.C.

In seguito agli incidenti verificatisi a Torino durante il match Juventus e Milan, per la Coppa federale la presidenza della Federazione applicava la squalifica di giorni 30 al giuocatore Soldera, del Milan a partire dal 31 marzo per ripetute e provate vie di fatto verso giuocatori juventini Reinaudi, Bergante e Giriodi.
Ai giuocatori Pizzi e Sala del Milan, Reinaudi e Monti della Juventus applicava, in via di speciale longanimità l'ammonizione solenne, oltreché per giuoco falloso, anche per vie di fatto, pur concedendo loro l'attenuante della provocazione.”
Così, dunque, le deliberazioni federali a seguito di quanto accadde quindici giorni prima a Torino e che abbiamo compiutamente raccontato. Nel contempo si continuava a giocare e nello specifico il Genoa, finalmente, iniziava a recuperare tutti gli incontri che per un motivo o per l'altro, come abbiamo visto, non aveva potuto giocare.
Davanti ad un folto pubblico, ingrossato da numerose persone giunte da Torino e da Milano, sul proprio campo la squadra genovese affrontava la Juventus e la partita, favorita da un clima primaverile, fu gradevole e ben giocata da entrambe. Sin dall'inizio il Genoa cercò con più insistenza la via del goal, ma la difesa juventina, soprattutto con la maiuscola prova di Pirovano, fu sempre molto attenta a rintuzzare tutti gli attacchi, sino a quando Boglietti II riuscì a sbloccare il risultato portando in vantaggio il Genoa. Ma fu solo un attimo perchè dopo soli tre minuti la Juventus con Reynaudi riuscì a pareggiare e contenendo altri assalti del Genoa riuscì a chiudere l'incontro sul punteggio finale di 1-11.
La classifica rimane sostanzialmente immutata:
JUVENTUS-GENOA 1-1

CLASSIFICA:
MODENA 10
MILAN 9
JUVENTUS 8
GENOA 5



1Cfr La Stampa del 27 marzo 1916


lunedì 21 marzo 2016

COPPA FEDERALE 1916

16. Girone finale: sesta giornata, cambio al vertice

La Juventus, che la domenica precedente aveva battuto il Milan, grande favorito per la vittoria finale, era chiamata a confermarsi sul difficile campo di Modena, contro una squadra che da sorpresa del torneo era diventata una vera e propria certezza. Gli emiliani si presentavano al gran completo e sin dalle battute iniziali dell'incontro impegnarono parecchie volte il portiere juventino Terzi fino a quando Fresia dalla distanza dopo poco più di un quarto d'ora di gioco sbloccava il punteggio a favore dei padroni di casa. La Juventus a quel punto cercò di creare qualche occasione ma il Modena non solo fu bravo a rintuzzare gli attacchi bianconeri ma tentò altre volte di colpire a sua volta. Soltanto al 35° su un bello stacco di testa di Reynaudi la Juventus riuscì a pareggiare e a chiudere così il primo tempo. La ripresa vide le due squadre molto nervose, consapevoli dell'importanza della posta in gioco, senza che nessuna delle due prevalesse sull'altra. Nel sostanziale equilibrio del secondo tempo la differenza la fece ancora Fresia, che riuscì a trasformare il calcio di rigore che l'arbitro assegnò al Modena verso la metà del tempo e così il Modena chiuse la partita vincendola 2-11.
L'incontro più atteso, però, era quello che si sarebbe dovuto giocare a Milano tra i rossoneri e il Genoa e che invece venne rinviato per ordine delle Autorità militari, timorose di un nuovo possibile attacco aereo su Milano dopo il bombardamento che la città aveva subito il 14 febbraio da parte degli aviatori austriaci2. Ci si domandava se il Milan, dopo la brutta sconfitta rimediata ladomenica precedente sarebbe stato in grado di riprendere quella marcia che un po' da tutti era considerata idonea a portarlo alla vittoria finale. Il Corriere della Sera, sul punto, così presentava la partita: “(...) La serie dei precedenti successi sembrava aver designato senz'altro il Milan come vincitore del torneo federale. Dopo lo scacco recente subito dai milanesi, le chance del Genoa sono in aumento, e la gara di domani, al Velodromo Sempione, fra le due grandi squadre, potrà indicarci la squadra che si aggiudicherà la coppa.”3
Invece no. Non si giocò e pertanto la situazione, al termine della sesta giornata, vedeva il Modena agguantare clamorosamente la testa della classifica:

MODENA -JUVENTUS  2-1
MILAN-GENOA    RINVIATA

CLASSIFICA:
MODENA 10
MILAN 9
JUVENTUS 7
GENOA 4


1Cfr La Stampa del 21 marzo 1916
3Cfr Corriere della Sera del 18 marzo 1916

venerdì 18 marzo 2016

WALKIN'ON THE FOOT-BALL: CARLO CARCANO

Nato a Masnago nel 1891, Carcano aveva iniziato a giocare a football nella squadra del Nazionale Lombardia, dove da subito si creò la fama di solido centromediano, tanto che ben presto passò a giocare nella più prestigiosa società dell'Alessandria, società alla quale è legata la sua avventura più importante come calciatore.
Emilio Colombo, sulle colonne de Lo Sport Illustrato così ne tratteggiava un profilo nel 1915, quando il giovane calciatore si stava mettendo in luce come uno dei calciatori italiani più promettenti del campionato:
Carcano è un bel tipo di calciatore. Senza essere un atleta poderoso, senza disporre di fasci muscolari poderosissimi ed eccessivamente sviluppati. Carcano è pur sempre un piccolo campione fuori dal comune. (…) Di statura superiore, e non di poco, alla media, l'alessandrino di adozione, si fa rimarcare per la possanza del tronco toracico. Un tronco pieno, tondo da boxeur. Le spalle spioventi un po' a tutto risalto dell'attaccatura del collo forte e lungo. Una testa quasi piccola; due limpidi occhi chiari illuminano il volto d'un aria sbarazzina. Le gambe del giovane calciatore sono agili, allungate, nervose.”
Sotto la sapiente guida dell'allenatore inglese Smith – tra i creatori della scuola calcistica grigia dell'epoca – Carcano riuscì ad affinare le proprie capacità e a crescere esponenzialmente nel gioco tanto che la Commissione Tecnica lo convocò per l'incontro internazionale del 31 maggio 1915 tra Italia e Svizzera: avrebbe dovuto essere, quella partita, l'inizio di una fulgida carriera in azzurro, ma da lì a pochi mesi la guerra avrebbe travolto tutta l'attività calcistica internazionale per quattro lunghi anni. Purtroppo per Carcano la sua carriera in Nazionale contò alla fine soltanto 6 presenze, l'ultima delle quali ancora contro la Svizzera, a Milano, nel marzo del 1921: poteva essere ben altra la sua carriera, ma gli anni migliori se li era mangiati la follia della guerra e lo spazio per l'Azzurro della Nazionale fu davvero troppo misero in rapporto al talento del giocatore. Si sarebbe rifatto, come vedremo, nella sua brillante carriere da allenatore.

Ormai trentenne, Carcano decise di appendere le scarpette al chiodo e di vivere così il secondo tempo della sua vita calcistica come allenatore e fu carriera ricca di successi. Dopo gli inizi alla Valenzana e all'Internaples e dopo essere tornato ad Alessandria anche in veste di trainer, sfiorando la conquista del titolo nel '27/28, fu alla Juventus che Carcano raggiunse l'apice della sua carriera da allenatore, legando per sempre il suo nome all'epopea della leggendaria squadra che dal 1930 al 1935 vinse cinque scudetti consecutivi. Carcano fu tecnico abile, molto attento a tutto ciò che riguardava l'aspetto organizzativo e “moderno”, acuto psicologo che studiava e conosceva il carattere dei propri giocatori in modo talmente profondo da saper ricavare da ciascuno di loro il massimo rendimento. Lo stesso Vittorio Pozzo, Commissario Unico della Nazionale, riconobbe in Carcano doti non comuni e lo volle al suo fianco nella preparazione della squadra per i Mondiali del 1934. Attento alla fase difensiva, precursore del Metodo, dava principalmente importanza a due ruoli su tutti, il centromediano e l'attaccante arretrato, mentre in difesa ricercava la solidità affidandosi ai blocchi difensivi.
Sul finire del 1934 fu al centro di una vicenda di presunta omosessualità che, in epoca fascista, non poteva essere tollerata e tutte quelle illazioni finirono con il convincere il presidente della Juventus Agnelli a sostituirlo. Finito ai margini del mondo calcistico, per una decina di anni non riuscì più a trovare una panchina di una squadra di primo livello; soltanto con la fine della guerra finalmente ritornò ad allenare guidando per tre stagioni l'Internazionale e poi la Sanremese.
Chiuso con il calcio, Carcano si ritirò a Sanremo dove morì nell'estate del 1965.


martedì 15 marzo 2016

Piacevolissima chiacchierata con la redazione di Superscommesse.it attorno a questo blog e alle sue storie. Per chi volesse leggerla, questo è il link: 

 http://www.superscommesse.it/notizie/storie_di_football_perduto__una_biblioteca_sulla_storia_del_calcio-9692.html

lunedì 14 marzo 2016

COPPA FEDERALE 1916

15. Girone finale: quinta giornata, la grande sorpresa nella burrasca torinese

(...) La gara di oggi assume pertanto tutti i caratteri dei grandi sensazionali incontri che comportano conseguenze decisive nelle manifestazioni calcistiche e che ritraggono sommo interesse dall'equilibrio delle squadre in campo, dall'abilità singola dei giuocatori e molto ancora da quella vivacità costante di guoco sempre contenuta in cavalleresche azioni. (...)”1
Sotto il diluvio, sul campo di Barriera Orbassano a Torino, un folto pubblico partecipò sin troppo alla partita tra Juventus e Milan. I rossoneri si presentarono in formazione largamente rimaneggiata e con soli dieci giocatori per le assenze di Ferrario e di Cevenini, quest'ultimo fermato all'ultimo minuto per il riacutizzarsi del problema all'occhio che lo aveva colpito in settimana. Soltanto a partita iniziata, e con il risultato già saldamente in mano agli avversari, il Milan trovò l'undicesimo uomo da mandare in campo, il giovanissimo Peretti, allievo dell'Accademia Militare di Torino. La partita fu una battaglia, più un incontro di pugilato che di calcio, con il pubblico del settore “popolari” sin troppo focoso e pronto a scaldare gli animi già troppo caldi di loro. Partì subito molto forte la Juventus che già dopo cinque minuti segnò la prima rete con Bergante, il quale convergendo verso il centro scartò Pizzi e lasciò partite un tiro che si andò ad insaccare all'angolo sinistro in alto della porta difesa da Gambuti. Al 25° i bianconeri chiudevano il match segnando la seconda rete su rigore con Pirovano a seguito di un fallo di mani. A quel punto la partita di calcio finiva ed iniziava l'incontro di pugilato che l'arbitro non fu in grado di punire come invece avrebbe dovuto. Molti i falli, anche gravi, che i giocatori si scambiarono per tutto il resto della partita sino all'episodio più eclatante, accaduto quando il portiere rossonero Gambuti, bloccato a terra il pallone, subì una carica da parte di Bergante che nel tentativo di togliergli la sfera gli diede un calcio alla mano. Si accese un parapiglia tra i giocatori con Monti, Pizzi e Soldera che vennero alle mani. A quel punto il pubblico entrò sul terreno di gioco e i dirigenti bianconeri impiegarono più di cinque minuti per sgomberare il campo e permettere così all'arbitro di riprendere il gioco, dopo aver espulso i tre giocatori protagonisti della scazzottata. Renato Casalbore, dalle colonne de La Gazzetta dello Sport non le mandò certo a dire all'arbitro, individuando proprio nel sig. Massa uno dei responsabili – se non proprio il maggiore – delle violenze che caratterizzarono l'incontro: “(...) Oggi infatti un arbitro di pugilato, più che uno di football, avrebbe dovuto reggere le sorti di questo match. E lo avrebbe certo fatto con maggior discernimento del signor Massa, che la Federazione non ha ancora messo a riposo. La debolezza dell'arbitro ha incoraggiato i guocatori e li ha spinti ad osare sempre di più, a fare sempre peggio, ed ha nello stesso tempo esasperato il pubblico che non ha più tenuto un contegno gentile, né con gli ospiti né con i torinesi.”2
 

Non si giocò, invece, a Genova a causa delle torrenziali piogge che da giorni affliggevano la città: quella fu la seconda partita consecutiva che il Genoa si vide rinviare a causa della pioggia, oltre alla gara contro il Casale non disputata per il ritiro dei nerostellati. La situazione dei genoani era piuttosto particolare, avendo questi giocato soltanto una volta – peraltro perdendo a Modena – nel girone finale del torneo. La Gazzetta dello Sport mise giustamente in risalto questa situazione, spiegando come per il Genoa fosse veramente difficile allenarsi, giocare e, in definitiva, prendere il “ritmo” del torneo: “La squadra del Genoa è forse la meno allenata tra quelle che si battono per la Coppa Federale. Il team genovese ha iniziato i suoi incontri, in questa stagione sportiva, privo di un portiere di classe e priva di De Vecchi e Boglietti. Quando ha potuto riavere ed acquistare il figlio di Dio e l'errante Boglietti e contare infine su un guardiano d'ottima scuola, qual'è il Molinari, s'è trovato nella quasi impossibilità di allenarsi. Quello dell'allenamento è un po' l'handicap di tutte le squadre che si completano, anzi si rafforzano, con elementi racimolati. De Vecchi, Boglietti, Molinari, Berardo, non abitano a Genova. Sono chiamati alla Superba in occasione dei matches che il Genoa disputa. Da un po' di tempo in qua il Genoa vede sospesi – con ordini che giungono all'ultima ora, e che partono dalla Segreteria Federale o da messer Pluvio – i suoi matches domenicali. (…)”3
 
Pur sconfitto il Milan manteneva la testa della classifica, anche se si trattava comunque di una classifica molto fluida, dove ancora tutte le squadre potevano legittimamente ambire alla vittoria finale.

JUVENTUS-MILAN 2-0
GENOA-MODENA RINVIATA

CLASSIFICA:
MILAN 9
MODENA 8
JUVENTUS 7
GENOA 4



1Cfr La Stampa del 12 marzo 1916
2Cfr. La Gazzetta dello sport del 13 marzo 1916 e Cfr La Stampa del 13 marzo 1916
3Cfr. La Gazzetta dello sport del 13 marzo 1916

venerdì 11 marzo 2016

WALKIN'ON THE FOOT-BALL: GUIDO ARA

Con tutta probabilità a pochi il nome di Guido Ara oggi dirà qualcosa, però fu senz'altro tra i migliori giocatori di football del periodo pionieristico italiano e anche uno dei più vincenti. Nato a Vercelli, indossò sempre la bianca casacca della squadra cittadina tranne una breve parentesi al Modena durante la prima guerra mondiale. Come detto fu uno dei mediani più forti del suo tempo, fisico prestante, Emilio Colombo lo dipinge portato per qualsiasi tipo di sport, ed infatti i suoi primi passi sportivi li aveva mossi nella sezione ginnastica della Pro Vercelli. Veloce, agile, dotato di tempismo perfetto, ottimo nel gioco di testa, buon palleggiatore e con un discreto dribbling, Ara “gioca di posizione: spostato verso il centro sostegno, approfittando dell'alta statura e del largo compasso delle gambe, mira a tagliar fuori, come si suol dire, l'ala avversaria.”
Mondi lontanissimi, canterebbe Battiato, quelli che appartengono a quel calcio là, a quel tempo là e quindi anche a Guido Ara. In un servizio apparso sulle colonne de La Stampa del 1970 l'allora ottantaduenne Ara ricordò i suoi personali metodi di allenamento: “(...) sceglieva di proposito appartamenti al sesto e al settimo piano, perchè in tal modo aveva la possibilità di fare un ottimo “footing” lungo le scale, a intervalli regolari. Ogni tanto poi concedeva un certo vantaggio ad una vettura tranviaria e la inseguiva con scatti ripetuti.”
Vinse sette volte il titolo di campione d'Italia, sei da giocatore e uno da allenatore/giocatore, sempre con le Bianche Casacche, disputando in tutto più di 150 partite.
Scoppiata la Grande guerra e con l'intervento italiano Ara fu arruolato come tenente di fanteria in servizio a Modena e proprio con la squadra gialloblu disputò nel 1916 la Coppa Federale, la manifestazione che la Federazione aveva creato in sostituzione del campionato. Fu, in quel periodo, una delle colonne della squadra del XX Autoparco, che raggruppava i migliori giocatori italiani del tempo sotto le armi.
La Stampa 08 gennaio 1970

In Nazionale Ara giocò 13 partite dal 1911 al 1920 e sicuramente avrebbe disputato anche la prima, storica, partita dell'Italia del 15 maggio 1910 se non fosse stato squalificato – lui e tutta la Pro Vercelli – per le note vicende legate alla finale/spareggio del campionato 1909-10. Fu invece in campo nella famosa partita Italia-Belgio del 1°maggio 1913, quella passata alla storia per la presenza in maglia azzurra di ben 9 giocatori della Pro, segnando per giunta il goal della vittoria, su punizione, rete quella che rimase l'unica di Ara in Nazionale. Terminata la guerra e ripresa l'attività internazionale, Ara fu presente in altre tre partite dell'Italia, partecipando anche alle Olimpiadi del 1920, senza peraltro giocare.
Terminato con il calcio giocato, iniziò la sua attività di allenatore nella stessa Pro Vercelli come allenatore/giocatore, vincendo subito il titolo di campione d'Italia nel 1921-22. Poi nella sua carriere le panchine di Parma, Fiorentina, Roma (finalista di Coppa Italia nel 1936-37), Milan e Genova, oltre che istruttore federale.

lunedì 7 marzo 2016

COPPA FEDERALE 1916

14. Girone finale: quarta giornata, il grande match di Milano

La gara, piccola tra quattro teams di insospettato valore, per il possesso della Coppa Federale si fa aspra, incerta e sempre brillante. Il ritiro forzato della squadra casalese, abbandonata da quel pubblico che ha dimostrato di non saper vivere e palpitare che pei nomi di campioni ormai lontani, ha posto con maggiore decisione la bella contesa sul tappeto della soluzione. Di domenica in domenica, a Modena e a Milano, a Torino e a Genova, le quattro forti finaliste si trovano faccia a faccia senza indugi per combattersi asprissimamente. (...)1
Per la quarta giornata della Coppa si giocò una sola gara poiché la partita in programma a Torino tra Juventus e Genoa venne rinviata ad aprile per le avverse condizioni meteorologiche2.
Si giocò quindi solo a Milano l'attesissimo incontro tra le due squadre in testa alla classifica, il Milan e la grande sorpresa Modena. Il pubblico fu quello della grandi occasioni. Più di tremila persone affollarono il Velodromo Sempione sicure di assistere ad un grande spettacolo, ma il campo, ridotto ad un vero pantano a causa delle abbondanti piogge, non permise alle due squadre di spiegare al meglio il rispettivo gioco. Il Corriere della Sera così sintetizza la gara: “Se il Milan, mancante di Van Hege e Barbieri, ha compiuto un notevole exploit, il giuoco del Modena, a dir vero non è stato quale il numeroso pubblico del Velodromo Sempione s'attendeva. La cattiva giornata dei modenesi ha tolto gran parte di combattività alla gara. (...)”3
Il Modena apparve debole soprattutto nella linea dei terzini, mentre in attacco il giocatore più temuto, Fresia, giocò molto isolato, più per se stesso che per la squadra e non impensierì mai davvero la retroguardia milanese. I rossoneri, invece, sin da subito presero il sopravvento del gioco e insidiarono spesso la difesa emiliana, non subendo, tuttavia, nessun reale pericolo in difesa, se non nelle battute iniziali del match, quando i terzini Sala e Pizzi furono i baluardi insormontabili della retroguardia rossonera. Il Milan riuscì a passare in vantaggio al 20° con una rete di Cevenini I e prima della fine del primo tempo andò molto vicino a raddoppiare. Nella ripresa il copione della partita non cambiò e dopo aver fallito un calcio di rigore all'inizio del secondo tempo, il Milan segnò la seconda e definitiva rete con Avanzini, vincendo così la partita per 2-0 e scavalcando in testa alla classifica proprio il Modena.

MILAN-MODENA 2-0
JUVENTUS-GENOA RINVIATA

CLASSIFICA:
MILAN 9
MODENA 8
JUVENTUS 5
GENOA 4




1Cfr. La Gazzetta dello sport del 6 marzo 1916
2Cfr La Stampa del 7 marzo 1916
3Cfr Corriere della Sera del 6 marzo 1916

venerdì 4 marzo 2016

WALKIN'ON THE FOOT-BALL: HERBERT KILPIN

Tu inglesissimo Kilpin, che assicuravi che il solo rimedio per dimenticare una rete subita è un sorso di whisky, e per questo tenevi una bottiglietta di "Black and White", nascosta in una piccola buca dietro a un palo.”
Così Vittorio Pozzo, non proprio uno qualsiasi, racconta in un paio di righe uno dei più importanti pionieri del calcio italiano, un inglese che qua da noi giocò al football a Torino e Milano lasciando un ricordo indelebile.
Nato a Nottingham nel 1870 da famiglia tutto sommato agiata, poté studiare e trovò ben presto lavoro presso un'industria tessile della città e, soprattutto, si innamorò di un gioco che da quelle parti già andava per la maggiore: il football. Già a tredici anni con alcuni amici fondò una squadra, il Garibaldi, con la quale al sabato andava a giocare nel famoso Halfha Crown round, lo sconfinato spiazzo comprendente più di venti campi da calcio che il Municipio affittava alle società per mezza corona.
La sua non fu una carriera particolarmente brillante, giocò sempre in seconda divisione, prima nel Notts Olympic e poi nel St. Andreus, senza diventare mai un professionista del pallone, mantenendo il proprio posto di lavoro consentendogli però, poco più che ventenne, di imbarcarsi nell'avventura più esaltante della sua vita.
Nel 1891 ricevette infatti una chiamata da un altro personaggio fondamentale per il calcio italiano, Edoardo Bosio che lo chiamò a Torino per impiantare i primi telai meccanici, e i due ben presto scoprirono di avere in comune non solo la conoscenza dell'industria tessile, ma qualcosa che a noi preme molto di più: la passione per il football.
Da noi questo sport si praticava da pochissimo tempo e Kilpin non ci mise tanto a rendersene conto:
Non avevo ancora vent'anni quando venni in Italia, stabilendomi dapprima a Torino. Era il settembre del 1891. Ero arrivato da poche settimane quando, una domenica, il mio carissimo amico e compatriota Savage, valentissimo giocatore, mi invitò ad accompagnarlo in piazza d'armi, per partecipare ad un match. Il football era da pochissimi anni praticato a Torino e a Genova. Quel giorno, si disputava un match amichevole tra la squadra inglese e quella italiana del FC Torinese. Mi invitarono a occupare un posto nella prima linea della squadra inglese. Mi rimboccai i calzoni, deposi la giacca ed eccomi in gara. Mi avvidi di due cose curiose; prima di tutto che non c'era ombra dell'arbitro; in secondo luogo, che mano a mano che la partita si inoltrava, la squadra avversaria italiana andava sempre più ingrossandosi. Ogni tanto uno del pubblico, entusiasmandosi, entrava in gioco, sicchè ci trovammo presto a lottare contro una squadra formata almeno da venti giocatori.”
A Torino giocò sia con il Football Club Torinese sia con l'Internazionale di Torino e con quest'ultima squadra disputò anche due finali del campionato, perdendole però entrambe. Come racconta lo stesso giocatore inglese in una intervista-ricordo rilasciata a Lo Sport Illustrato del febbraio 1915, la sconfitta del 1899 fece da volano alla sua voglia di rivincita e promise ai genoani, che lo avevano battuto, che avrebbe fondato una nuova squadra con la quale li avrebbe finalmente sconfitti. Così, sul finire del 1899, trasferitosi ormai stabilmente a Milano, con alcuni amici connazionali fondò il Milan e riuscì finalmente a vincere il campionato nel 1901, vittoria che poi riuscì a conquistare anche nel 1906 e nel 1907. Chiuse la carriera, ormai trentottenne, l'anno successivo, dopo una partita amichevole giocata con la maglia rossonera contro i francesi del Montreaux.

Morì a soli 46 anni, c'è chi dice per cirrosi epatica, chi per cancro ai polmoni. Nel numero del 1° novembre 1916 Lo Sport Illustrato e la Guerra così ricordava alle nuove generazioni ciò che era stato Kilpin, “un nome magico, che fece vibrare le prime folle di appassionati del delirio sportivo per un grande campione; un nome ch'è quasi tutto nella storia del nostro football.”