venerdì 28 ottobre 2016

LA CARTA DI VIAREGGIO DEL 1926

La nuova struttura federale 
Cambiava un po' tutto. Soprattutto per quel che riguardava la struttura interna federale, che veniva riorganizzata in senso strettamente gerarchico, e le cariche stesse che non erano più elettive bensì a nomina: veniva istituito il Direttorio Federale composto da 7 elementi tutti eletti direttamente dal C.O.N.I. - e dunque dal Partito – a capo del quale veniva nominato il gerarca fascista bolognese Leandro Arpinati; a sua volta il Direttorio Federale avrebbe nominato tutti gli organi dipendenti, e cioè il Direttorio delle divisioni superiori (Divisione Nazionale e Prima Divisione) e il Direttorio delle divisioni inferiori Nord e Sud (Seconda Divisione Nord, Seconda Divisione Sud, finali interregionali e Terza Divisione). 
Come detto, a capo del Direttorio Federale fu nominato il gerarca fascista bolognese, amico della prima ora di Benito Mussolini, Leandro Arpinati, il quale resse la presidenza della F.I.G.C. dal 1926 al 1933: spostò immediatamente la sede federale da Torino a Bologna e successivamente – nel 1929 – a Roma, in concomitanza con la sua nomina a sottosegretario agli interni.
Per il primo biennio la nomina del Direttorio fu dunque fatta d'autorità dalla Presidenza del C.O.N.I., mentre con la riforma del 1927, riforma che prevedeva la nomina da parte del capo del Governo non solo della presidenza del C.O.N.I., ma di tutte le presidenze delle varie federazioni, la nomina del presidente della Federazione calcistica sarebbe spettata anch'essa a Mussolini.
Per quel che riguardava il mondo arbitrale, venne istituito il Comitato Italiano Tecnico Arbitrale (C.I.T.A.), organismo al quale veniva demandato l'inappellabile giudizio su tutte le questioni di carattere tecnico relativamente al regolamento di gioco. Allo stesso Comitato veniva inoltre conferita tutta una serie di attribuzioni, tra le quali l'attività di aggiornamento e coordinamento dei regolamenti tecnici di gioco, la nomina, vigilanza, classificazione e designazione degli arbitri. Presidente dell'organismo veniva nominato l'avv. Giovanni Mauro.

La riforma dei campionati
Inoltre la riforma seguiva la via tracciata anni prima dal Progetto di riforma dei campionati ideata da Vittorio Pozzo, teso all'unificazione territoriale del campionato: venne dunque creata una Divisione Nazionale formata da 20 squadre divise in due gironi, di queste ben 16 appartenevano alla Lega Nord alle quali si aggiunse una diciassettesima individuata tramite torneo di spareggio tra le otto retrocesse nell'anno precedente; completavano il quadro tre squadre del centro-sud: le due squadre di Roma, l'Alba, finalista del torneo precedente, e la Fortitudo, e la novità del Napoli che nato nell'agosto del 1926 grazie all'opera dell'imprenditore Giorgio Ascarelli aveva assorbito l'Internaples, cioè la squadra che aveva acquisito nel campionato precedente il diritto a partecipare alla Divisione Nazionale.

Il torneo di qualificazione tra le otto squadre del settentrione non ammesse direttamente prese avvio domenica 29 agosto 1926 e terminò con la ripetizione della finale del 23 settembre.
(a Bologna) MANTOVA – REGGIANA 7 – 3 dts
(a Verona) LEGNANO – UDINESE 2 – 0 Forfait
(a Milano) NOVARA – PARMA 4 – 0
(a Genova) ALESSANDRIA – PISA 6 – 1
Così “La Stampa” commenta l'indomani l'esito del primo turno di qualificazione:
La prima giornata del Torneo di qualificazione è stata caratterizzata da successi netti, e sui quali non è possibile sollevare dubbi. Del resto, si può dire che le squadre, le quali hanno superato la prova, erano le favorite della vigilia: l'Udinese, che per un complesso di circostanze, non era in grado di allineare la squadra che seppe fornire un “finisch” di campionato notevole, è stata la sola che ha voluto...precedere il pronostico, col dar partita vinta al Legnano.
La sorpresa della giornata è stata la vittoria dei “virgiliani”: la Reggiana alla vigilia raccoglieva maggiori suffragi: invece, i “granata” emiliani hanno ceduto nei tempi supplementari. La sorte della gara venne rimessa a un fattore, che fu decisivo: la fatica, e infatti i più resistenti hanno avuto la meglio, e sono passati dal pareggio 3-3 a un 7-3 senza dubbio eloquente.
L'Alessandria ha ottenuto la vittoria più convincente della giornata, mentre pure netta e chiara è stata l'affermazione novarese. La squadra “azzurra” è stata la sola a non aver violata la sua rete, il che costituisce, senza dubbio, un successo personale di Faher.” 1
Domenica 5 settembre vennero disputate le semifinali, entrambe a porte chiuse:
(a Vercelli) ALESSANDRIA – LEGANO 4 – 1
(a Milano) NOVARA – MANTOVA 4 – 3 dts
Nella riunione del 6 settembre, il Direttorio federale, decideva che la finale tra Alessandria e Novara si sarebbe disputata domenica 12 settembre sul campo neutro di Casale Monferrato
(a Casale) ALESSANDRIA – NOVARA 2 – 2 dts
A quel punto, terminato l'incontro in parità, necessitava una seconda partita, che le due squadre chiesero – ed ottennero – di giocare a Torino, sul campo della Juventus, giovedì 23 settembre; anche se prescritto a porte chiuse, l'incontro si giocò davanti ad oltre 500 persone e vide il primo tempo chiudersi con il Novara in vantaggio 1-0. Nella ripresa, l'Alessandria salì di tono e riuscì a pareggiare dopo dieci minuti e a far suo l'incontro segnando altre due reti, vincendo e regalandosi così l'ingresso nella Divisione Nazionale.
(a Torino) ALESSANDRIA – NOVARA 3 – 1
Sempre nella seduta del 6 settembre, alla vigilia della finale del torneo di qualificazione, il Direttorio decideva la compilazione dei due gironi della Divisione Nazionale, in base alle classifiche degli ultimi Campionati con criterio economico-territoriale, e dei tre gironi della Prima Divisione:
DIVISIONE NAZIONALE GIRONE A
DIVISIONE NAZIONALE GIRONE B
JUVENTUS
BOLOGNA
MODENA
TORINO
GENOA
PADOVA
HELLAS
CREMONESE
INTERNAZIONALE
LIVORNO
PRO VERCELLI
SAMPIERDARENESE
BRESCIA
ANDREA DORIA
NAPOLI
MILAN
ALBA AUDACE ROMA
FORTITUDO ROMA
CASALE
ALESSANDRIA

Al termine dei due gironi, le prime tre di ciascun girone avrebbero partecipato ad un girone finale per l'assegnazione del titolo di Campione Nazionale, mentre le ultime due classificate di ciascun girone sarebbero state retrocesse in Prima Divisione.
Al campionato di Prima Divisione partecipavano 32 squadre; il campionato veniva diviso secondo un criterio geografico in due macro gruppi, Nord e Sud. Nel raggruppamento Nord giocavano 24 squadre suddivise in tre gironi da 8 squadre ciascuno, ed era costituito dalle sette squadre rimaste in categoria nella stagione 1925-26, dalla squadra dell'U.S. Anconitana – che per ragioni geografiche venne aggregata al nord – e dalle 16 squadre che avevano conquistato il diritto di passare dalla seconda alla prima divisione. Nel raggruppamento Sud partecipavano 8 squadre che vennero scelte in base ai migliori piazzamenti nei vari gironi regionali del sud, “tenuto conto della potenzialità dei differenti gironi, designate, in base a questi criteri, dal Direttorio Federale, su proposta degli enti competenti”.
Le quattro vincenti dei quattro gironi di prima divisione sarebbero state promosse in Divisione Nazionale, mentre l'ultima classificata di ciascun girone (quindi 4 squadre in totale) sarebbero retrocesse in Seconda Divisione.
Anche la Seconda Divisione prevedeva la suddivisione in due macro gruppi, Nord e Sud per un totale di massimo 68 squadre. Le 32 squadre del Nord sarebbero state divise in tre gironi da 12 squadre ciascuno, con la vincente di ciascun girone promossa in Prima Divisione e le ultime due retrocesse in Terza Divisione. Il gruppo Sud, invece, venne suddiviso in quattro gironi da otto squadre ciascuno: le quattro vincenti avrebbero disputato la finale a girone doppio per il titolo e per il posto in Prima Divisione, mentre l'ultima classificata di ogni girone sarebbe stata retrocessa in Terza Divisione.
Il campionato di Terza Divisione, infine, anch'esso diviso tra Nord e Sud prevedeva che potessero iscriversi “tutte le società che avessero la libera e piena disponibilità di un campo da giuoco nelle misure regolamentari e con cinta stabile”. Ovviamente l'intero campionato era organizzato su base strettamente regionale: per il Nord i Direttori regionali avrebbero dovuto provvedere a creare gironi da 10 squadre ciascuno; le vincenti di ogni girone si sarebbero incontrate su base interregionale per determinare i sei posti che avrebbero concesso la promozione in Seconda Divisione. Al Sud i Direttori regionali avrebbero, allo stesso modo del Nord, creato gironi da otto squadre e le vincenti, sempre su base interregionale, si sarebbero incontrate per la conquista dei quattro posti di Seconda Divisione2.




1 Cfr. La Stampa del 30 agosto 1926
2 Cfr. Annuario Italiano Giuco del Calcio, Vol. II, Società Tipografica Modenese, Modena, 1929
 

venerdì 14 ottobre 2016

LA CARTA DI VIAREGGIO DEL 1926

2. la “fascistizzazione” del calcio

Il calcio italiano degli anni'20 era scosso da violenti polemiche e duri scontri al proprio interno che fomentavano la già di suo inquieta folla che sempre più seguiva, discuteva e si appassionava alle vicende calcistiche. A ciò si accompagnava una grave crisi finanziaria e di “potere” che attanagliava gli enti del calcio dell'epoca. Quel che accadde nel 1926 offrì il pretesto al regime per rafforzare in maniera decisiva la sua presenza e la sua influenza all'interno delle strutture calcistiche.
Tutto prese avvio dalla proclamazione di uno sciopero della classe arbitrale nel maggio di quel 1926, dopo che la Federazione annullò la vittoria del Casale sul Torino del 7 febbraio a seguito delle vibranti proteste dei granata adducendo quale motivazione il fatto che l'arbitro non “avrebbe diretto con la dovuta serenità” l'incontro1.
Già da alcuni anni una commissione di “saggi” stava lavorando per una strutturale riforma del calcio e proprio nella primavera del'26 questa statuì per il Regolamento arbitrale una bizzarra norma che prevedeva la possibilità per le società di indicare un certo numero di arbitri “non graditi”, i quali per tutta la stagione non avrebbero arbitrato quelle squadre. L'Annuario del Giuoco del Calcio italiano nell'edizione del 1929 riporta per intero il testo della norma, prevista all'art.11 del Regolamento degli Arbitri:
Ogni società, entro 10 giorni dal ricevimento dell'elenco degli arbitri, avrà diritto di indicare alla Commissione sportiva (federale) un numero di arbitri non superiore all'8% del totale contenuto nell'elenco stesso. La Commissione stessa per tutta la stagione sportiva iniziantesi, non dovrà destinare tali arbitri alla direzione delle partite che la società che li ha indicati dovrà disputare sia sul proprio campo sia su campo avversario.
Le Società non sono tenute a dichiarare i motivi della indicazione salvo si tratti di casi di indegnità”2
Ovviamente questa norma non venne accolta bene dal mondo arbitrale e al termine di una riunione tra tutti gli arbitri, il 30 maggio 1926 l'Associazione degli Arbitri emanò un durissimo comunicato:
Il Consiglio plenario dell'Associazione Italiana degli Arbitri, riunito ieri a Milano, presa in esame la situazione creatasi in seguito alle ultime decisioni degli Enti Federali (…) delibera alla unanimità di invitare i colleghi di tutte le categorie a ritornare alla Commissione sportiva entro il giorno 5 giugno 1926 la tessera di arbitro, spontaneamente rinunciando ad assolvere l'ufficio, che non è più tutelato da leggi scritte, ma è abbandonato all'arbitrio di parte.3
In una parola, sciopero.
Insomma c'era il concreto rischio che il campionato non vedesse la fine perchè ovviamente non si poteva giocare senza arbitro, ma fu qui che intervenne in maniera decisa il regime. Per trovare una soluzione venne investito della questione il C.O.N.I. - ente controllato dal regime – il cui presidente, come abbiamo visto, già dal 1925 era Lando Ferretti, nominato direttamente da Mussolini. Ferretti ci mise molto poco ad intervenire: ordinò l'immediata cessazione dello sciopero arbitrale e la ripresa del campionato e il 7 luglio nominò una commissione di tre saggi (Mauro, Foschi, Graziani) con il compito di riformare radicalmente l'organizzazione calcistica italiana. Nello specifico ai tre esperti venne demandata la soluzione alle seguenti questioni:
a) Assegnazione delle Società alle varie categorie e organizzazione dei campionati;
b) Classifica dei giocatori;
c) Sistemazione tributaria;
d) Gerarchie dell'ente
Da quella commissione, il 2 agosto, nel giro di sole tre settimane, venne emanata la cosiddetta “Carta di Viareggio” che modificava in senso sostanziale tutta l'attività calcistica italiana e che successivamente andremo nel dettaglio ad analizzare.
Così il 3 agosto 1926 il quotidiano “La Stampa” dava la notizia:
In una sala del Municipio di Viareggio si è riunita questa mattina e nel pomeriggio di oggi la presidenza del C.O.N.I. per la sistemazione della Federazione Italiana del Giuoco del Calcio (…)
Dopo un breve rendiconto finanziario, i convenuti hanno ricevuto una Commissione delle Società di Prima Divisione escluse dalla Divisione Nazionale. Nel pomeriggio, poi, ha avuto luogo un'ampia discussione alla quale hanno preso parte quasi tutti gli intervenuti e che si è conclusa con l'accettazione della proposta degli esperti. I punti fondamentali della riforma dell'Ente calcistico stabiliscono tra l'altro che i giuocatori vengano divisi in due categorie: dilettanti e non dilettanti.
Alle Società iscritte al Campionato Italiano è fatto divieto di allineare nei propri ranghi giuocatori di nazionalità straniera: come norma transitoria è ammesso per gli anni 1926-27 il tesseramento di due giuocatori da parte di ciascuna Società, con l'obbligo però di non farne partecipare più di uno per ciascuna partita. Sono stati poi presi provvedimenti circa il trasferimento dei giuocatori e si è fissata la data di inizio Campionato italiano, che verrà diviso in due gruppi.
Si è proceduto infine alla costituzione di un Comitato Tecnico arbitrale, con sede a Milano.”4



1Carlo, F., Chiesa, La grande storia del calcio italiano , pubblicata a puntate su GS Guerin Sportivo
2Cfr. Annuario del Giuoco del Calcio italiano, 1929
3 Cfr. La Stampa del 31 maggio 1926
4 Cfr. La Stampa del 3 agosto 1926

venerdì 7 ottobre 2016

LA CARTA DI VIAREGGIO DEL 1926

1. La “fascistizzazione” dello sport
Con la metà degli anni'20 il Fascismo iniziò ad interessarsi anche al mondo dello sport e del calcio, nell'idea di modernizzarne le strutture esistenti. La stessa F.I.G.C. più volte aveva lamentato lo scarso interesse dello Stato nei confronti dello sport in generale e del calcio in particolare, ma qualcosa proprio verso la metà del decennio iniziò a mutare: la progressiva “fascistizzazione” delle strutture sociali e statali ad opera del regime toccava anche il mondo dello sport che intanto si andava legando a quello dell'istruzione con la legge n. 2247 del 3 aprile 1926, legge che istituiva l'Opera Nazionale Balilla per l'assistenza e l'educazione fisica e morale della gioventù. Con detta legge e con i successivi R.D. Del 20 novembre 1927 e del 12 settembre 1929 il regime “metteva le mani” sull'insegnamento dell'educazione fisica nelle scuole attraverso un sistema di controllo nuovo rispetto alle esperienze passate poiché anche se l'ONB agiva al di fuori della scuola, allo stesso tempo essa era all'interno della scuola medesima poiché gli insegnanti di ginnastica passavano direttamente alle sue dipendenze1.
Come appurato dalla storiografia, il Fascismo non si interessò al fenomeno sportivo, e calcistico in particolare, per mera passione, bensì per oggettive motivazioni di carattere politico che spaziavano dalla politica interna alla politica estera.
Già durante il Primo conflitto mondiale, su molti fronti gli ufficiali dei vari eserciti ritenevano utile far disputare incontri di calcio, rugby ed esercizi ginnici ai soldati al fine di temprarne e formarne il carattere e il fisico, durante le lunghe giornate in trincea. Mussolini – dal canto suo – pare aver assorbito e condiviso questa visione, in quanto riteneva che la pratica sportiva fosse necessario completamento della preparazione militare del “cittadino soldato”: è la chiusura di un percorso iniziato nel negli anni'30 del XIX secolo quando sotto il Re di Sardegna Carlo Alberto a Torino lo svizzero Rodolfo Obermann aprì una prima scuola di educazione fisica per gli artiglieri e proseguito quindi con l'introduzione da parte del Ministero della Guerra dell'obbligatorietà della ginnastica nell'addestramento militare2.
Lando Ferretti, gerarca fascista e presidente del C.O.N.I. dal 1925 al 1928, spiega molto bene quale fu l'approccio del Fascismo allo sport in un estratto dal fondamentale lavoro di Antonio Ghirelli “Storia del calcio in Italia”:
Politico – e solo politico! - Mussolini vide, anche nello sport, e apprezzò il lato politico. Per essere più precisi: la sua funzione politico-sociale. All'inizio lo sport indubbiamente era, ed è, nemico della lotta di classe, affratellatore e livellatore di gente proveniente dai più diversi ceti, tutta fusa da una passione comune e tesa verso la stessa meta. Inoltre costituisce, coi suoi spettacoli, il diversivo migliore per la gioventù, altrimenti convogliata verso attività di partiti politici.”3
Renato Ricci, animatore dell'ONB spiegava cosa si dovesse intendere per educazione fisica: “(...) quel complesso di attività fisiche volontarie che sono in grado di conservare e migliorare lo stato di salute e le forze fisiche e di vivificare e disciplinare le qualità dello spirito.4
Oltre a questo, lo sport serviva al regime per raggiungere anche un altro importante scopo, quello cioè di infondere negli italiani un marcato sentimento di orgoglio nazionale. Per arrivare a ciò indispensabile fu la figura dell'atleta che mietendo successi in campo internazionale da un lato aumentava il senso di appartenenza delle masse e dall'altro ingigantiva il prestigio internazionale di Mussolini e del regime stesso. A tal proposito, interessante è riportare qua, attraverso sempre il lavoro del Ghirelli, le parole che Mussolini pronuncia in occasione del raduno del 28 ottobre 1934 a Roma di tutti gli atleti italiani:
Voi, atleti di tutta Italia, avete dei particolari doveri. Voi dovete essere tenaci, cavallereschi, ardimentosi. ricordatevi che quando combattete oltre i confini, ai vostri muscoli e soprattutto al vostro spirito è affidato in quel momento l'onore e il prestigio sportivo della Nazione. Dovete quindi mettere tutta la vostra energia, tutta la vostra volontà, per raggiungere il primato in tutti i cimenti della terra, del mare e del cielo.”5



1Guido, Pizzamiglio, L'evoluzione dell'educazione fisica e sportiva nella scuola media italiana dalla riforma Gentile ai giorni nostri, sta in Scritti di storia e legislazione scolastica, Casanova, Parma, 1993
2Giacomo, Zanibelli, La scuola al fronte: l'educazione fisica come strumento di “vocazione” patriottica. Dalle sonnacchiose aule dell'italietta alla trincea. Il caso senese, sta in Lo sport alla Grande Guerra, Quaderni della SISS, n.4 Serie Speciale, 2015
3 Antonio, Ghirelli, Storia del calcio in Italia, Einaudi, Torino, 1967
4Guido, Pizzamiglio, Op. cit.
5 Cfr. La Stampa del 29 ottobre 1934