martedì 20 dicembre 2016

Album di football perduto

INGHILTERRA - UNGHERIA, WEMBLEY, 25 NOVEMBRE 1953

Da,lle macerie della II Guerra mondiale nasce una squadra invicibile, piena di talenti, l'Ungheria di Puskas e Kocsis, di Hidegkuti e Czibor, l'Aranycsapat che nel novembre del 1953 viene invitata a giocare un'amichevole nientemeno che dai maestri inglesi, nel tempio inviolato di Wembley.


Quel pomeriggio davanti ad oltre 100.000 spettatori l'Ungheria domina e sovrasta gli inglesi. Già in rete dopo nenache un minuto, alla mezzora del primo tempo è in vantaggio 4-1 e concluderà l'incontro 6-3.
Questo murales è l'omaggio che Budapest ha fatto all'Aranycsapat nel 2013, in occasione del 60°anniversario della vittoria in casa dei maestri inglesi. La squadra d'oro ungherese, infatti, fu la prima squadra continentale a violare il sacro tempio di Wembley.

lunedì 12 dicembre 2016

Album di football perduto

LA MEDAGLIA DEL RE. MILANO, TROTTER, 1902


 
Il trofeo venne donato dal Re Umberto I all'Esercito italiano, il quale nel 1900 indisse una giornata celebrativa di sport, mettendo in palio questo trofeo per la competizione di football.
Il Milan si assicurò definitivamente il trofeo vincendo tutte e tre le edizioni. Nel 1902 sconfisse, sul proprio campo del Trotter, in finale il F.C. Torinese per 7-0

giovedì 1 dicembre 2016

Album di football perduto

GENOA - INTERNATIONAL FOOTBALL CLUB TORINO

Finale del campionato italiano di calcio giocato a Genova domenica 16 aprile 1899


La finale viene giocata sul campo di Ponte Carrega, in casa dunque del Genoa, campione d'Italia in carica. Dagli archivi della Fondazione Genoa 1893 leggiamo:
"Avendo un sopralluogo compiuto qualche giorno prima dell'incontro evidenziato l'inagibilità delle tribune, vengono messe delle sedie vicino al terreno di gioco a disposizione degli spettatori che vorranno pagare un sovrapprezzo al biglietto d'ingresso. L'incasso netto dell'incontro viene devoluto a un istituto di beneficenza."
La partita finisce con la netta vittoria del Genoa per 3-1, confermandosi così per la seconda volta campione d'Italia.

venerdì 25 novembre 2016

Album di football perduto

PRO VERCELLI - INTERNAZIONALE

Spareggio per l'assegnazione del titolo di campione d'Italia giocato a Vercelli domenica 24 aprile 1910.



L'Internazionale vinse 10-3 contro la quarta squadra della Pro Vercelli, squadra che i piemontesi decisero di schierare a seguito delle polemiche sorte dopo la decisione federale di giocare lo spareggio il 24 aprile.

Nella foto sono ritratti, pochi istanti prima del calcio d'inizio, i due capitani: Virgilio Fossati (Internazionale) e Alessandro Rampini II (Pro Vercelli).
Dalle testimoniane dell'epoca, pare che Alessandro Rampini in quell'occasione si presentò con una lavagna e dei gessi che diede a Fossati per poter segnare tutte le reti che i nerazzurri avrebbero realizzato, senza correre il rischio di perderne il conto.

venerdì 4 novembre 2016

LA CARTA DI VIAREGGIO DEL 1926

Lo status dei giocatori 

Ultimo aspetto, non certo il meno importante, riguardava il nuovo “status” del calciatore. 
Per tutto il suo periodo pionieristico il calcio italiano era stato improntato all'insegna del dilettantismo, come anche rimarcato nel Regolamento che la F.I.G.C. emanò nel 1909, anche se non mancarono – possiamo dire da subito – casi di società che per accaparrarsi i giocatori migliori promettevano loro posti di lavoro e “benefit”1. Questo atteggiamento della Federazione e del mondo tutto calcistico italiano si rifaceva all'ideale del gentleman-amateur, ideale che era arrivato in Italia assieme ai primi rudimenti sul nuovo gioco: eppure, seppur proprio in Gran Bretagna il professionismo fosse riconosciuto già a partire dal 1885, qui da noi l'idea incontrò sempre molte resistenze, se è vero come è vero che ancora nel 1925 la F.I.G.C., dopo i “casi” dei calciatori Rosetta e Calligaris, ribadiva con forza la piena condanna al professionismo. Qualcosa – e non solo in Italia – comunque si stava muovendo e mutava il quadro d'insieme, nuovi interessi iniziavano a ruotare attorno al calcio, sempre più imprenditori facoltosi acquistavano società pronti ad investire cifre importanti per raggiungere le vittorie2. A metà anni'20 era ormai inevitabile porsi il problema del professionismo e dare risposte adeguate.
La Carta di Viareggio recepiva quanto già statuito dalla F.I.F.A. nel congresso di Roma del 1926 laddove la Federazione internazionale, pur continuando a proclamare il principio del dilettantismo per i calciatori, di fatto lasciava alle singole federazioni nazionali il compito di inquadrare concretamente il calciatore e quindi – in altre parole – dava loro la possibilità di prevedere un “compenso” per i giocatori. Ovviamente quel “compenso” non poteva essere in alcun modo una retribuzione diretta, ossia elargita in relazione ad una prestazione di gioco, ma poteva benissimo essere inteso nel senso di “indenizzo” per il “mancato guadagno” che il calciatore avrebbe subito a causa dell'attività calcistica.
Leggiamo dall'Annuario del Giuoco del Calcio del 1929:
Il Congresso conferma la definizione del dilettante così e come è stata adottata al Congresso di Parigi. Sulla questione del rimborso eccezionale del mancato guadagno il congresso, allo stato della questione (fait confiance) affida alle Associazioni nazionali di definire provvisoriamente leur statut personel3
Dicevamo, la Carta di Viareggio si adeguò e, pur non riconoscendo il professionismo, distinse i calciatori in Dilettanti e Non Dilettanti, prevedendo per questi ultimi l'obbligo di depositare in Federazione “copia degli impegni di rimborso spese e mancato guadagno, firmata dal rappresentante della Società e dal giocatore”.
Grande attenzione veniva riservata al controllo dello status di dilettante, prevedendo, tra l'altro che la Presidenza del C.O.N.I. nominasse una Commissione del dilettantismo composta da tre membri con il compito di vigilare sull'applicazione integrale delle norme sul dilettantismo e prevedendo “gravissime sanzioni contro i colpevoli, essendo le Società e i giuocatori solidalmente responsabili”.

Le novità riguardanti i giocatori non finivano però qua. Si chiudevano le frontiere e si prevedeva che ai campionati italiani potessero partecipare soltanto giocatori di nazionalità e cittadinanza italiana, prevedendo, quale norma transitoria per la stagione successiva, dunque quella del 1926/27, la possibilità per ciascuna società di tesserare al massimo due giocatori stranieri, fatto obbligo però di poterne schierare soltanto uno per ogni partita. Per ciò che riguardava i trasferimenti dei giocatori, cadeva ogni vincolo territoriale (dal 1922 il calciatore poteva cambiare squadra soltanto se la sua residenza anagrafica coincideva con quella del club) ma dovevano comunque sempre essere espressamente autorizzati dal Direttorio Federale:
a) giuocatori chiamati a prestare servizio militare (…) per il periodo del servizio effettivo e per una Società avente sede ove il servizio viene prestato;
b) giuocatori stranieri, già tesserati in Italia nella stagione 1925-1926, che sono rimasti in soprannumero a norma delle disposizioni riguardanti la partecipazione dei giuocatori straneiri al Campionato;
c) giuocatori che avanti la data del 31 luglio 1926 abbiano avuto ragioni di insanabile dissenso con la loro Società, per motivi di eccezione gravità di natura in ispecie morale ovvero giuocatori ai quali la Società dichiari, motivando, di non voler più conservare nei propri ruoli4.
Antonio Papa e Guido Panico riportano un dato molto interessante, comparando il numero dei giocatori retribuiti in Italia e Inghilterra negli anni'30:
Nel corso degli anni'30 la media dei giocatori retribuiti, circa cinquecento, rappresentò solo l'1% dei tesserati. Ciò nonostante la percentuale italiana era superiore a quella dei professionisti inglesi, che costituivano solo lo 0,4% dei giocatori delle società di football”5
Antonio Ghirelli chiosa sull'ambiguità che da allora avrebbe caratterizzato la gestione economico-finanziaria del calcio in Italia riportando ciò che Carlo Doglio scriveva nel 1952 a proposito dei deleteri effetti della riforma:
(...) nessuna società tra quante ho visitato, si sogna di poter narrare la propria storia economico-sociale post 1926-27. fino ad allora l'aneddotica cita anche i centesimi, dopo, silenzio assoluto.”6
Insomma, con questa riforma epocale il calcio italiano iniziava ad assomigliare molto al calcio dei nostri tempi, producendo una cesura tra il prima e il dopo.





1Alessandro, Bassi, Il football dei pionieri, Bradipolibri Editore, Ivrea, 2012
2Antonio, Papa - Guido, Panico, Storia sociale del calcio in Italia, Il Mulino, Bologna, 1993
3 Cfr. Annuario Italiano Giuco del Calcio, Vol. II, Società Tipografica Modenese, Modena, 1929
4Ibidem
5Antonio, Papa - Guido, Panico Op. Cit.
6Antonio, Ghirelli, Op. Cit.
 

venerdì 28 ottobre 2016

LA CARTA DI VIAREGGIO DEL 1926

La nuova struttura federale 
Cambiava un po' tutto. Soprattutto per quel che riguardava la struttura interna federale, che veniva riorganizzata in senso strettamente gerarchico, e le cariche stesse che non erano più elettive bensì a nomina: veniva istituito il Direttorio Federale composto da 7 elementi tutti eletti direttamente dal C.O.N.I. - e dunque dal Partito – a capo del quale veniva nominato il gerarca fascista bolognese Leandro Arpinati; a sua volta il Direttorio Federale avrebbe nominato tutti gli organi dipendenti, e cioè il Direttorio delle divisioni superiori (Divisione Nazionale e Prima Divisione) e il Direttorio delle divisioni inferiori Nord e Sud (Seconda Divisione Nord, Seconda Divisione Sud, finali interregionali e Terza Divisione). 
Come detto, a capo del Direttorio Federale fu nominato il gerarca fascista bolognese, amico della prima ora di Benito Mussolini, Leandro Arpinati, il quale resse la presidenza della F.I.G.C. dal 1926 al 1933: spostò immediatamente la sede federale da Torino a Bologna e successivamente – nel 1929 – a Roma, in concomitanza con la sua nomina a sottosegretario agli interni.
Per il primo biennio la nomina del Direttorio fu dunque fatta d'autorità dalla Presidenza del C.O.N.I., mentre con la riforma del 1927, riforma che prevedeva la nomina da parte del capo del Governo non solo della presidenza del C.O.N.I., ma di tutte le presidenze delle varie federazioni, la nomina del presidente della Federazione calcistica sarebbe spettata anch'essa a Mussolini.
Per quel che riguardava il mondo arbitrale, venne istituito il Comitato Italiano Tecnico Arbitrale (C.I.T.A.), organismo al quale veniva demandato l'inappellabile giudizio su tutte le questioni di carattere tecnico relativamente al regolamento di gioco. Allo stesso Comitato veniva inoltre conferita tutta una serie di attribuzioni, tra le quali l'attività di aggiornamento e coordinamento dei regolamenti tecnici di gioco, la nomina, vigilanza, classificazione e designazione degli arbitri. Presidente dell'organismo veniva nominato l'avv. Giovanni Mauro.

La riforma dei campionati
Inoltre la riforma seguiva la via tracciata anni prima dal Progetto di riforma dei campionati ideata da Vittorio Pozzo, teso all'unificazione territoriale del campionato: venne dunque creata una Divisione Nazionale formata da 20 squadre divise in due gironi, di queste ben 16 appartenevano alla Lega Nord alle quali si aggiunse una diciassettesima individuata tramite torneo di spareggio tra le otto retrocesse nell'anno precedente; completavano il quadro tre squadre del centro-sud: le due squadre di Roma, l'Alba, finalista del torneo precedente, e la Fortitudo, e la novità del Napoli che nato nell'agosto del 1926 grazie all'opera dell'imprenditore Giorgio Ascarelli aveva assorbito l'Internaples, cioè la squadra che aveva acquisito nel campionato precedente il diritto a partecipare alla Divisione Nazionale.

Il torneo di qualificazione tra le otto squadre del settentrione non ammesse direttamente prese avvio domenica 29 agosto 1926 e terminò con la ripetizione della finale del 23 settembre.
(a Bologna) MANTOVA – REGGIANA 7 – 3 dts
(a Verona) LEGNANO – UDINESE 2 – 0 Forfait
(a Milano) NOVARA – PARMA 4 – 0
(a Genova) ALESSANDRIA – PISA 6 – 1
Così “La Stampa” commenta l'indomani l'esito del primo turno di qualificazione:
La prima giornata del Torneo di qualificazione è stata caratterizzata da successi netti, e sui quali non è possibile sollevare dubbi. Del resto, si può dire che le squadre, le quali hanno superato la prova, erano le favorite della vigilia: l'Udinese, che per un complesso di circostanze, non era in grado di allineare la squadra che seppe fornire un “finisch” di campionato notevole, è stata la sola che ha voluto...precedere il pronostico, col dar partita vinta al Legnano.
La sorpresa della giornata è stata la vittoria dei “virgiliani”: la Reggiana alla vigilia raccoglieva maggiori suffragi: invece, i “granata” emiliani hanno ceduto nei tempi supplementari. La sorte della gara venne rimessa a un fattore, che fu decisivo: la fatica, e infatti i più resistenti hanno avuto la meglio, e sono passati dal pareggio 3-3 a un 7-3 senza dubbio eloquente.
L'Alessandria ha ottenuto la vittoria più convincente della giornata, mentre pure netta e chiara è stata l'affermazione novarese. La squadra “azzurra” è stata la sola a non aver violata la sua rete, il che costituisce, senza dubbio, un successo personale di Faher.” 1
Domenica 5 settembre vennero disputate le semifinali, entrambe a porte chiuse:
(a Vercelli) ALESSANDRIA – LEGANO 4 – 1
(a Milano) NOVARA – MANTOVA 4 – 3 dts
Nella riunione del 6 settembre, il Direttorio federale, decideva che la finale tra Alessandria e Novara si sarebbe disputata domenica 12 settembre sul campo neutro di Casale Monferrato
(a Casale) ALESSANDRIA – NOVARA 2 – 2 dts
A quel punto, terminato l'incontro in parità, necessitava una seconda partita, che le due squadre chiesero – ed ottennero – di giocare a Torino, sul campo della Juventus, giovedì 23 settembre; anche se prescritto a porte chiuse, l'incontro si giocò davanti ad oltre 500 persone e vide il primo tempo chiudersi con il Novara in vantaggio 1-0. Nella ripresa, l'Alessandria salì di tono e riuscì a pareggiare dopo dieci minuti e a far suo l'incontro segnando altre due reti, vincendo e regalandosi così l'ingresso nella Divisione Nazionale.
(a Torino) ALESSANDRIA – NOVARA 3 – 1
Sempre nella seduta del 6 settembre, alla vigilia della finale del torneo di qualificazione, il Direttorio decideva la compilazione dei due gironi della Divisione Nazionale, in base alle classifiche degli ultimi Campionati con criterio economico-territoriale, e dei tre gironi della Prima Divisione:
DIVISIONE NAZIONALE GIRONE A
DIVISIONE NAZIONALE GIRONE B
JUVENTUS
BOLOGNA
MODENA
TORINO
GENOA
PADOVA
HELLAS
CREMONESE
INTERNAZIONALE
LIVORNO
PRO VERCELLI
SAMPIERDARENESE
BRESCIA
ANDREA DORIA
NAPOLI
MILAN
ALBA AUDACE ROMA
FORTITUDO ROMA
CASALE
ALESSANDRIA

Al termine dei due gironi, le prime tre di ciascun girone avrebbero partecipato ad un girone finale per l'assegnazione del titolo di Campione Nazionale, mentre le ultime due classificate di ciascun girone sarebbero state retrocesse in Prima Divisione.
Al campionato di Prima Divisione partecipavano 32 squadre; il campionato veniva diviso secondo un criterio geografico in due macro gruppi, Nord e Sud. Nel raggruppamento Nord giocavano 24 squadre suddivise in tre gironi da 8 squadre ciascuno, ed era costituito dalle sette squadre rimaste in categoria nella stagione 1925-26, dalla squadra dell'U.S. Anconitana – che per ragioni geografiche venne aggregata al nord – e dalle 16 squadre che avevano conquistato il diritto di passare dalla seconda alla prima divisione. Nel raggruppamento Sud partecipavano 8 squadre che vennero scelte in base ai migliori piazzamenti nei vari gironi regionali del sud, “tenuto conto della potenzialità dei differenti gironi, designate, in base a questi criteri, dal Direttorio Federale, su proposta degli enti competenti”.
Le quattro vincenti dei quattro gironi di prima divisione sarebbero state promosse in Divisione Nazionale, mentre l'ultima classificata di ciascun girone (quindi 4 squadre in totale) sarebbero retrocesse in Seconda Divisione.
Anche la Seconda Divisione prevedeva la suddivisione in due macro gruppi, Nord e Sud per un totale di massimo 68 squadre. Le 32 squadre del Nord sarebbero state divise in tre gironi da 12 squadre ciascuno, con la vincente di ciascun girone promossa in Prima Divisione e le ultime due retrocesse in Terza Divisione. Il gruppo Sud, invece, venne suddiviso in quattro gironi da otto squadre ciascuno: le quattro vincenti avrebbero disputato la finale a girone doppio per il titolo e per il posto in Prima Divisione, mentre l'ultima classificata di ogni girone sarebbe stata retrocessa in Terza Divisione.
Il campionato di Terza Divisione, infine, anch'esso diviso tra Nord e Sud prevedeva che potessero iscriversi “tutte le società che avessero la libera e piena disponibilità di un campo da giuoco nelle misure regolamentari e con cinta stabile”. Ovviamente l'intero campionato era organizzato su base strettamente regionale: per il Nord i Direttori regionali avrebbero dovuto provvedere a creare gironi da 10 squadre ciascuno; le vincenti di ogni girone si sarebbero incontrate su base interregionale per determinare i sei posti che avrebbero concesso la promozione in Seconda Divisione. Al Sud i Direttori regionali avrebbero, allo stesso modo del Nord, creato gironi da otto squadre e le vincenti, sempre su base interregionale, si sarebbero incontrate per la conquista dei quattro posti di Seconda Divisione2.




1 Cfr. La Stampa del 30 agosto 1926
2 Cfr. Annuario Italiano Giuco del Calcio, Vol. II, Società Tipografica Modenese, Modena, 1929
 

venerdì 14 ottobre 2016

LA CARTA DI VIAREGGIO DEL 1926

2. la “fascistizzazione” del calcio

Il calcio italiano degli anni'20 era scosso da violenti polemiche e duri scontri al proprio interno che fomentavano la già di suo inquieta folla che sempre più seguiva, discuteva e si appassionava alle vicende calcistiche. A ciò si accompagnava una grave crisi finanziaria e di “potere” che attanagliava gli enti del calcio dell'epoca. Quel che accadde nel 1926 offrì il pretesto al regime per rafforzare in maniera decisiva la sua presenza e la sua influenza all'interno delle strutture calcistiche.
Tutto prese avvio dalla proclamazione di uno sciopero della classe arbitrale nel maggio di quel 1926, dopo che la Federazione annullò la vittoria del Casale sul Torino del 7 febbraio a seguito delle vibranti proteste dei granata adducendo quale motivazione il fatto che l'arbitro non “avrebbe diretto con la dovuta serenità” l'incontro1.
Già da alcuni anni una commissione di “saggi” stava lavorando per una strutturale riforma del calcio e proprio nella primavera del'26 questa statuì per il Regolamento arbitrale una bizzarra norma che prevedeva la possibilità per le società di indicare un certo numero di arbitri “non graditi”, i quali per tutta la stagione non avrebbero arbitrato quelle squadre. L'Annuario del Giuoco del Calcio italiano nell'edizione del 1929 riporta per intero il testo della norma, prevista all'art.11 del Regolamento degli Arbitri:
Ogni società, entro 10 giorni dal ricevimento dell'elenco degli arbitri, avrà diritto di indicare alla Commissione sportiva (federale) un numero di arbitri non superiore all'8% del totale contenuto nell'elenco stesso. La Commissione stessa per tutta la stagione sportiva iniziantesi, non dovrà destinare tali arbitri alla direzione delle partite che la società che li ha indicati dovrà disputare sia sul proprio campo sia su campo avversario.
Le Società non sono tenute a dichiarare i motivi della indicazione salvo si tratti di casi di indegnità”2
Ovviamente questa norma non venne accolta bene dal mondo arbitrale e al termine di una riunione tra tutti gli arbitri, il 30 maggio 1926 l'Associazione degli Arbitri emanò un durissimo comunicato:
Il Consiglio plenario dell'Associazione Italiana degli Arbitri, riunito ieri a Milano, presa in esame la situazione creatasi in seguito alle ultime decisioni degli Enti Federali (…) delibera alla unanimità di invitare i colleghi di tutte le categorie a ritornare alla Commissione sportiva entro il giorno 5 giugno 1926 la tessera di arbitro, spontaneamente rinunciando ad assolvere l'ufficio, che non è più tutelato da leggi scritte, ma è abbandonato all'arbitrio di parte.3
In una parola, sciopero.
Insomma c'era il concreto rischio che il campionato non vedesse la fine perchè ovviamente non si poteva giocare senza arbitro, ma fu qui che intervenne in maniera decisa il regime. Per trovare una soluzione venne investito della questione il C.O.N.I. - ente controllato dal regime – il cui presidente, come abbiamo visto, già dal 1925 era Lando Ferretti, nominato direttamente da Mussolini. Ferretti ci mise molto poco ad intervenire: ordinò l'immediata cessazione dello sciopero arbitrale e la ripresa del campionato e il 7 luglio nominò una commissione di tre saggi (Mauro, Foschi, Graziani) con il compito di riformare radicalmente l'organizzazione calcistica italiana. Nello specifico ai tre esperti venne demandata la soluzione alle seguenti questioni:
a) Assegnazione delle Società alle varie categorie e organizzazione dei campionati;
b) Classifica dei giocatori;
c) Sistemazione tributaria;
d) Gerarchie dell'ente
Da quella commissione, il 2 agosto, nel giro di sole tre settimane, venne emanata la cosiddetta “Carta di Viareggio” che modificava in senso sostanziale tutta l'attività calcistica italiana e che successivamente andremo nel dettaglio ad analizzare.
Così il 3 agosto 1926 il quotidiano “La Stampa” dava la notizia:
In una sala del Municipio di Viareggio si è riunita questa mattina e nel pomeriggio di oggi la presidenza del C.O.N.I. per la sistemazione della Federazione Italiana del Giuoco del Calcio (…)
Dopo un breve rendiconto finanziario, i convenuti hanno ricevuto una Commissione delle Società di Prima Divisione escluse dalla Divisione Nazionale. Nel pomeriggio, poi, ha avuto luogo un'ampia discussione alla quale hanno preso parte quasi tutti gli intervenuti e che si è conclusa con l'accettazione della proposta degli esperti. I punti fondamentali della riforma dell'Ente calcistico stabiliscono tra l'altro che i giuocatori vengano divisi in due categorie: dilettanti e non dilettanti.
Alle Società iscritte al Campionato Italiano è fatto divieto di allineare nei propri ranghi giuocatori di nazionalità straniera: come norma transitoria è ammesso per gli anni 1926-27 il tesseramento di due giuocatori da parte di ciascuna Società, con l'obbligo però di non farne partecipare più di uno per ciascuna partita. Sono stati poi presi provvedimenti circa il trasferimento dei giuocatori e si è fissata la data di inizio Campionato italiano, che verrà diviso in due gruppi.
Si è proceduto infine alla costituzione di un Comitato Tecnico arbitrale, con sede a Milano.”4



1Carlo, F., Chiesa, La grande storia del calcio italiano , pubblicata a puntate su GS Guerin Sportivo
2Cfr. Annuario del Giuoco del Calcio italiano, 1929
3 Cfr. La Stampa del 31 maggio 1926
4 Cfr. La Stampa del 3 agosto 1926

venerdì 7 ottobre 2016

LA CARTA DI VIAREGGIO DEL 1926

1. La “fascistizzazione” dello sport
Con la metà degli anni'20 il Fascismo iniziò ad interessarsi anche al mondo dello sport e del calcio, nell'idea di modernizzarne le strutture esistenti. La stessa F.I.G.C. più volte aveva lamentato lo scarso interesse dello Stato nei confronti dello sport in generale e del calcio in particolare, ma qualcosa proprio verso la metà del decennio iniziò a mutare: la progressiva “fascistizzazione” delle strutture sociali e statali ad opera del regime toccava anche il mondo dello sport che intanto si andava legando a quello dell'istruzione con la legge n. 2247 del 3 aprile 1926, legge che istituiva l'Opera Nazionale Balilla per l'assistenza e l'educazione fisica e morale della gioventù. Con detta legge e con i successivi R.D. Del 20 novembre 1927 e del 12 settembre 1929 il regime “metteva le mani” sull'insegnamento dell'educazione fisica nelle scuole attraverso un sistema di controllo nuovo rispetto alle esperienze passate poiché anche se l'ONB agiva al di fuori della scuola, allo stesso tempo essa era all'interno della scuola medesima poiché gli insegnanti di ginnastica passavano direttamente alle sue dipendenze1.
Come appurato dalla storiografia, il Fascismo non si interessò al fenomeno sportivo, e calcistico in particolare, per mera passione, bensì per oggettive motivazioni di carattere politico che spaziavano dalla politica interna alla politica estera.
Già durante il Primo conflitto mondiale, su molti fronti gli ufficiali dei vari eserciti ritenevano utile far disputare incontri di calcio, rugby ed esercizi ginnici ai soldati al fine di temprarne e formarne il carattere e il fisico, durante le lunghe giornate in trincea. Mussolini – dal canto suo – pare aver assorbito e condiviso questa visione, in quanto riteneva che la pratica sportiva fosse necessario completamento della preparazione militare del “cittadino soldato”: è la chiusura di un percorso iniziato nel negli anni'30 del XIX secolo quando sotto il Re di Sardegna Carlo Alberto a Torino lo svizzero Rodolfo Obermann aprì una prima scuola di educazione fisica per gli artiglieri e proseguito quindi con l'introduzione da parte del Ministero della Guerra dell'obbligatorietà della ginnastica nell'addestramento militare2.
Lando Ferretti, gerarca fascista e presidente del C.O.N.I. dal 1925 al 1928, spiega molto bene quale fu l'approccio del Fascismo allo sport in un estratto dal fondamentale lavoro di Antonio Ghirelli “Storia del calcio in Italia”:
Politico – e solo politico! - Mussolini vide, anche nello sport, e apprezzò il lato politico. Per essere più precisi: la sua funzione politico-sociale. All'inizio lo sport indubbiamente era, ed è, nemico della lotta di classe, affratellatore e livellatore di gente proveniente dai più diversi ceti, tutta fusa da una passione comune e tesa verso la stessa meta. Inoltre costituisce, coi suoi spettacoli, il diversivo migliore per la gioventù, altrimenti convogliata verso attività di partiti politici.”3
Renato Ricci, animatore dell'ONB spiegava cosa si dovesse intendere per educazione fisica: “(...) quel complesso di attività fisiche volontarie che sono in grado di conservare e migliorare lo stato di salute e le forze fisiche e di vivificare e disciplinare le qualità dello spirito.4
Oltre a questo, lo sport serviva al regime per raggiungere anche un altro importante scopo, quello cioè di infondere negli italiani un marcato sentimento di orgoglio nazionale. Per arrivare a ciò indispensabile fu la figura dell'atleta che mietendo successi in campo internazionale da un lato aumentava il senso di appartenenza delle masse e dall'altro ingigantiva il prestigio internazionale di Mussolini e del regime stesso. A tal proposito, interessante è riportare qua, attraverso sempre il lavoro del Ghirelli, le parole che Mussolini pronuncia in occasione del raduno del 28 ottobre 1934 a Roma di tutti gli atleti italiani:
Voi, atleti di tutta Italia, avete dei particolari doveri. Voi dovete essere tenaci, cavallereschi, ardimentosi. ricordatevi che quando combattete oltre i confini, ai vostri muscoli e soprattutto al vostro spirito è affidato in quel momento l'onore e il prestigio sportivo della Nazione. Dovete quindi mettere tutta la vostra energia, tutta la vostra volontà, per raggiungere il primato in tutti i cimenti della terra, del mare e del cielo.”5



1Guido, Pizzamiglio, L'evoluzione dell'educazione fisica e sportiva nella scuola media italiana dalla riforma Gentile ai giorni nostri, sta in Scritti di storia e legislazione scolastica, Casanova, Parma, 1993
2Giacomo, Zanibelli, La scuola al fronte: l'educazione fisica come strumento di “vocazione” patriottica. Dalle sonnacchiose aule dell'italietta alla trincea. Il caso senese, sta in Lo sport alla Grande Guerra, Quaderni della SISS, n.4 Serie Speciale, 2015
3 Antonio, Ghirelli, Storia del calcio in Italia, Einaudi, Torino, 1967
4Guido, Pizzamiglio, Op. cit.
5 Cfr. La Stampa del 29 ottobre 1934

martedì 2 agosto 2016

LA CARTA DI VIAREGGIO DEL 1926

Il calcio italiano degli anni'20, come sappiamo, era scosso da violenti polemiche e duri scontri al proprio interno che fomentavano la già di suo inquieta folla che sempre più seguiva, discuteva e si appassionava alle vicende calcistiche. A ciò si accompagnava una grave crisi finanziaria e di “potere” che attanagliava gli enti del calcio dell'epoca. Quel che accadde nel 1926 offrì il pretesto al regime per rafforzare in maniera decisiva la sua presenza e la sua influenza all'interno delle strutture calcistiche.
Tutto prese avvio dalla proclamazione di uno sciopero della classe arbitrale nel maggio di quel 1926, dopo che la Federazione annullò la vittoria del Casale sul Torino del 7 febbraio a seguito delle vibranti proteste dei granata adducendo quale motivazione il fatto che l'arbitro non avrebbe diretto con la dovuta serenità l'incontro.
Già da alcuni anni una commissione di “saggi” stava lavorando per una strutturale riforma del calcio e proprio nella primavera del'26 statuì per il Regolamento arbitrale una bizzarra norma che prevedeva la possibilità per le società di indicare un certo numero di arbitri “non graditi”, i quali per tutta la stagione non avrebbero arbitrato quelle squadre. L'Annuario del Giuoco del Calcio italiano nell'edizione del 1929 riporta per intero il testo della norma, prevista all'art.11 del Regolamento degli Arbitri:
Ogni società, entro 10 giorni dal ricevimento dell'elenco degli arbitri, avrà diritto di indicare alla Commissione sportiva (federale) un numero di arbitri non superiore all'8% del totale contenuto nell'elenco stesso. La Commissione stessa per tutta la stagione sportiva iniziantesi, non dovrà destinare tali arbitri alla direzione delle partite che la società che li ha indicati dovrà disputare sia sul proprio campo sia su campo avversario.
Le Società non sono tenute a dichiarare i motivi della indicazione salvo si tratti di casi di indegnità”
Ovviamente questa norma non venne accolta bene dal mondo arbitrale e al termine di una riunione tra tutti gli arbitri, il 30 maggio 1926 l'Associazione degli Arbitri emanò un durissimo comunicato:
Il Consiglio plenario dell'Associazione Italiana degli Arbitri, riunito ieri a Milano, presa in esame la situazione creatasi in seguito alle ultime decisioni degli Enti Federali (…) delibera alla unanimità di invitare i colleghi di tutte le categorie a ritornare alla Commissione sportiva entro il giorno 5 giugno 1926 la tessera di arbitro, spontaneamente rinunciando ad assolvere l'ufficio, che non è più tutelato da leggi scritte, ma è abbandonato all'arbitrio di parte”
Per farla breve, sciopero. 
Lando Ferretti
Insomma c'era il concreto rischio che il campionato non vedesse la fine perchè ovviamente non si poteva giocare senza arbitro, ma fu qui che intervenne in maniera decisa il regime. Per trovare una soluzione venne investito della questione il C.O.N.I. - ente controllato dal regime – il cui presidente già dal 1925 era Lando Ferretti, nominato direttamente da Mussolini. Ferretti ci mise molto poco ad intervenire: ordinò l'immediata cessazione dello sciopero arbitrale e la ripresa del campionato e il 7 luglio nominò una commissione di tre saggi (Mauro, Foschi, Graziani) con il compito di riformare radicalmente l'organizzazione calcistica italiana. Nello specifico ai tre esperti venne demandata la soluzione alle seguenti questioni:
a) Assegnazione delle Società alle varie categorie e organizzazione dei campionati;
b) Classifica dei giocatori;
c) Sistemazione tributaria;
d) Gerarchie dell'ente
Da quella commissione, nel giro di sole tre settimane, venne emanata e sottoposta all'approvazione del C.O.N.I. il 2 agosto 1926 la cosiddetta “Carta di Viareggio” che modificava in senso sostanziale tutta l'attività calcistica italiana.
Così La Stampa del 3 agosto riportava la notizia:
In una sala del Municipio di Viareggio si è riunita questa mattina e nel pomeriggio di oggi la presidenza del C.O.N.I. per la sistemazione della Federazione Italiana del Giuoco del Calcio. (…) dopo un breve rendiconto finanziario, i convenuti hanno ricevuto una Commissione delle Società di Prima Divisione escluse dalla Divisione Nazionale. Nel pomeriggio, poi, ha avuto luogo un'ampia discussione alla quale hanno preso parte quasi tutti gli intervenuti, e che si è conclusa con l'accettazione delle proposte degli esperti. I punti fondamentali della riforma dell'Ente calcistico stabiliscono tra l'altro che i giuocatori vengano divisi in due categorie: dilettanti e non dilettanti.
Alle Società iscritte al Campionato italiano è fatto divieto di allineare nei propri ranghi giuocatori di nazionalità straniera: come norma transitoria è ammesso per gli anni 1926-27 il tesseramento di due giuocatori da parte di ciascuna Società, con l'obbligo però di non farne partecipare più di 1 per ciascuna partita. Sono stati poi presi provvedimenti circa il trasferimento dei giocatori e si è fissata la data di inizio Campionato italiano, che verrà diviso in due gruppi.
Si è proceduto infine alla costituzione di un Comitato Tecnico arbitrale, con sede a Milano”
Cambiava un po' tutto, quindi. Soprattutto per quel che riguardava la struttura interna federale che veniva riorganizzata in senso strettamente gerarchico e le cariche stesse che non erano più elettive bensì a nomina: veniva istituito un Direttorio Federale composto da 7 elementi tutti eletti direttamente dal C.O.N.I. - e dunque dal Partito – a capo del quale veniva nominato il gerarca fascista bolognese Leandro Arpinati; a sua volta il Direttorio Federale avrebbe nominato tutti gli organi dipendenti, e cioè il Direttorio delle divisioni superiori (Divisione Nazionale e Prima Divisione) e il Direttorio delle divisioni inferiori Nord e Sud (Seconda Divisione Nord, Seconda Divisione Sud, finali interregionali e Terza Divisione).
Inoltre la riforma seguiva la via tracciata anni prima dal Progetto di riforma dei campionati ideata da Vittorio Pozzo, teso all'unificazione territoriale del campionato: venne dunque creata una Divisione Nazionale formata da 20 squadre divise in due gironi, di queste ben 16 appartenevano alla Lega Nord alle quali si aggiunse una diciassettesima individuata tramite torneo di spareggio tra le otto retrocesse nell'anno precedente; completavano il quadro due squadre del sud e d'ufficio la romana Fortitudo. Era un ulteriore e decisivo passo verso il Girone Unico del 1929/30.
Ultimo aspetto, non certo il meno importante, riguardava il nuovo “status” del calciatore. La Carta di Viareggio recepiva quanto già statuito dalla F.I.F.A. nel congresso di Roma del 1926 laddove la Federazione internazionale, pur continuando a proclamare il principio del dilettantismo per i calciatori, di fatto lasciava alle singole federazioni nazionali il compito di inquadrare concretamente il calciatore e quindi – in altre parole – dava loro la possibilità di prevedere un “compenso” per i giocatori. Ovviamente quel “compenso” non poteva essere in alcun modo un compenso diretto, ossia elargito in relazione ad una prestazione di gioco, ma poteva benissimo essere inteso nel senso di “risarcimento” per il “mancato guadagno” che il calciatore avrebbe subito a causa dell'attività calcistica. Capirete bene che si è al cospetto di un capolavoro linguistico...
Dicevamo, la Carta di Viareggio si adeguò e, pur non riconoscendo il professionismo, distinse i calciatori in Dilettanti e Non Dilettanti, prevedendo per questi ultimi l'obbligo di depositare in Federazione “copia degli impegni di rimborso spese e mancato guadagno, firmata dal rappresentante della Società e dal giocatore”.
Sull'argomento, per la portata in sé e per l'influenza che ebbe nel calcio a venire, torneremo a settembre con un approfondimento in tre puntate.

 

martedì 26 luglio 2016

CHI VINSE IL CAMPIONATO ITALIANO 1914/15?

Genoa
L'1 e il 2 agosto 1914, mentre l'Italia dichiarava la sua neutralità nel conflitto bellico che stava scoppiando sempre più fragoroso, a Torino durante l'assemblea federale venne deliberato il nuovo organigramma del campionato, il quale, per quanto riguarda il nord, venne suddiviso in 6 gironi formati da 6 squadre ciascuno, secondo il criterio della regionalità; al termine delle eliminatorie, le migliori due di ciascun girone e le quattro migliori terze avrebbero formato i quattro gironi di semifinale, ciascuno di quattro squadre. Le vincenti di ciascun girone di semifinale avrebbero quindi formato il girone finale che avrebbe laureato il vincitore. Per il centro vennero organizzati due gironi, uno toscano e uno laziale; le migliori due di ciascun girone avrebbero formato il girone finale. Completava il quadro il – chiamiamolo così – girone campano al quale erano iscritte due sole squadre, entrambe di Napoli, il cui vincitore avrebbe disputato la finale del centro-sud con la vincente del girone finale del centro. La vincente di questa finale avrebbe incontrato nella finalissima nazionale la vincente del girone nord. Insomma, fatte salve poche e lievi modifiche, il campionato 1914/15 si sarebbe svolto come quello precedente.
Internazionale
Il campionato al nord iniziò il 4 ottobre, mentre al centro prese il via domenica 1° novembre 1914. Durante i primi mesi del 1915, mentre la guerra si faceva sempre più aspra, dura e lunga, l'Italia – come ho raccontato nel mio 1915, Dal football alle trincee (Bradipolibri, 2015) – arrivò prima a stipulare il Patto con le forse alleate e quindi a dichiarare guerra al suo alleato, l'Austria-Ungheria.
Il 22 maggio 1915 veniva proclamato lo stato di guerra e il 23 l'Italia entrava in guerra; lo stesso giorno veniva sospeso il campionato di calcio, quando mancava una giornata al termine sia nel girone del nord sia nel girone del centro.
La classifica dei due gironi era la seguente:
ITALIA SETTENTRIONALE 
GENOA 7
TORINO 5
INTERNAZIONALE 5
MILAN 3 
 
ITALIA CENTRALE
LAZIO 8
ROMAN 6
PISA 6
LUCCA 0
le partite ancora da disputare, in programma per il 23 maggio erano queste:
GENOA-TORINO
MILAN-INTERNAZIONALE
PISA-ROMAN
LAZIO-LUCCA
Come abbiamo detto, la formula prevedeva che la vincente del girone nord incontrasse in finalissima chi fosse risultato vincitore tra la vincente del girone centrale e la vincente del girone campano. La precisazione non appare di poco conto, e adesso vediamo perché. 

Lucca


Nel girone finale del centro molta confusione desta la posizione del Lucca poiché alcune fonti danno per certo e per notificata alla F.I.G.C. la rinuncia al campionato della squadra toscana per problemi d natura economica, mentre altre fonti tacciono sul punto o addirittura parlano di incontro che verrà recuperato. Ammesso quindi che la Lazio avesse effettivamente vinto il girone, rimaneva comunque da disputare la finale del centro-sud contro la vincente del girone campano, girone che in realtà era un'eliminatoria tra le due squadre di Napoli, il Naples e l'Internazionale. Dette squadre giocarono le due partite in aprile ma entrambi gli incontri vennero annullati per tesseramenti irregolari di un paio di giocatori e programmati nuovamente per il 14 e 21 maggio: come sappiamo, l'incontro del 14 venne regolarmente giocato e vide la vittoria dell'Internazionale, ma non venne mai giocato il ritorno. Con la dichiarazione di guerra tutto venne sospeso e al termine del conflitto bellico la F.I.G..C. decise di premiare il Genoa. La decisione di assegnare il titolo alla squadra genovese venne definitivamente presa nel 1921, ma già nel 1919 la decisione era pressoché certa e ufficiale, tanto da essere riportata anche dagli organi di informazione e ciò pare abbia portato Torino e Internazionale di Milano ad alzare la voce e a far sentire le evidentemente legittime proteste; di analoghi reclami presentati da Lazio e Internazionale di Napoli, invece, non ne ho rinvenuto traccia.
Torino

A ben vedere, dunque, la decisione federale di assegnare il titolo di campione d'Italia al Genoa presta il fianco a più di una critica. In realtà fu un errore che già Emilio Colombo sulle colonne de Lo Sport Illustrato del 10 giugno 1915 si augurava non venisse compiuto, ma le sue parole non vennero ascoltate e così, terminata la guerra, la Federazione accolse le lagnanze e le richieste dei genoani senza curarsi di eventuali altri pretendenti. Che in realtà c'erano ma, come abbiamo visto, o protestarono flebilmente o non si mossero affatto per ottenere un riconoscimento. Internazionale di Milano, Torino, Lazio e Internazionale di Napoli teoricamente erano – al momento dell'interruzione – ancora in lizza per la vittoria finale. 
La F.I.G.C. assegnò il titolo al Genoa principalmente per due ragioni: una, diciamo così, di politica sportiva e l'altra più schiettamente di campo. Quella politica è la più rilevante, a modesto parere di chi scrive. La Federazione dell'epoca era molto diversa da quella attuale, molto legata agli ambienti nordisti e assegnare il titolo al Genoa aveva il significato di premiare una società che aveva avuto un ruolo di assoluto primo piano negli anni pionieristici del football nostrano e che ancora aveva parecchi dirigenti attigui agli ambienti federali. Inoltre un'altra ragione che aveva fatto propendere la Federazione per questa decisione era l'assoluto divario tecnico che esisteva tra le squadre del nord e quelle del sud, divario oggettivo: da quando (stagione 1912/13) il campionato di prima categoria era stato aperto anche alle squadre del centro-sud, la finale si era sempre risolta in una passeggiata per le squadre del nord e la stessa stampa nazionale per celebrare il campione d'Italia non aspettava certo la finalissima nazionale, ma i titoli e gli elogi li spendeva già per chi vinceva la finale del nord, identificando quella finale con la finalissima.
I fatti sono ormai accaduti, rimetterci mano oggi non mi sembra né saggio né storicamente corretto.


 





 


venerdì 10 giugno 2016

WALKIN'ON THE FOOT-BALL: EDOARDO BOSIO

Con tutta probabilità il primo pallone da football l'ha portato in Italia lui. Edoardo Bosio, torinese di origini elvetiche, era un impiegato di una ditta inglese di Nottingham e spesso viaggiava verso l'Inghilterra per lavoro: là, conobbe il football e se ne innamorò tanto che da uno di questi viaggi si portò dietro un paio di palloni e subito coinvolse i suoi colleghi della ditta Thomas & Adams nel gioco del football association, come allora veniva chiamato il calcio. Il luogo è Torino, la Torino della Belle Epoque, con le sue strade, i suoi tabarin, e i suoi sogni di futuro. L'anno è il 1887 quando lo stesso Bosio con i suoi colleghi crea la prima squadra di calcio in Italia, il Football and Cricket Club di Torino, con tanto di divisa ufficiale che prevedeva una camicia a righe rosse e nere con colletto bianco, squadra che – come tradisce il nome – avrebbe permesso ai propri soci di praticare il cricket, il football e, in estate, il canottaggio, primo grande amore di Bosio. 
Il Savoia nel 1889. Bosio è l'ultimo a destra
Sì, il canottaggio perchè Bosio è stato anche un famoso vogatore pluridecorato della Società Armida. Da una cronaca apparsa nel numero del 14 giugno 1891 de La Gazzetta del Popolo della Domenica riusciamo a farci un'idea del personaggio, del suo talento e del suo aspetto fisico: “Il signor Bosio Edoardo, 3° voga, partecipò col Nicola alle regate di Venezia e Casale, vincendo nelle prime il 2° premio in canoa e il 1° in jola alle seconde. Nel 1888 a Torino, partecipò alle gare di canoa a quattro e a due, vincendo i primi premii. Partecipò alla gara della Coppa alle regate di campionato a Stresa. Ha 24 anni, pesa 72 chilogrammi, misura metri 1,81 d'altezza.”
Torino in quegli anni è un gran fermento, anche gli ambienti sabaudi si interessano al nuovo gioco e nel 1889 grazie soprattutto a Luigi Amedeo di Savoia – futuro Duca degli Abruzzi – il barone Cesana e il Marchese Alfonso Ferrero di Ventimiglia, un gruppo di aristocratici formano la loro squadra di calcio. Che chiamano, magari senza slancio particolarmente fantasioso – Nobili, con colori sociali gialli e blu quale omaggio ai colori cittadini. Due anni e parecchie sfide più tardi le squadre di Bosio e dei nobili si fondono per dar vita all'Internazionale di Torino e proprio con questa squadra troviamo Bosio impegnato a dar calci al pallone, in amichevole come in campionato. 
 
Bosio è il quarto da sinistra
Paertecipa a quella che viene considerata la prima sfida tra due squadre di città diverse mai disputata in Italia, il 6 gennaio 1898 tra  il Genoa e una "mista" composta da giocatori dell'Internazionale e il Football Club Torinese, ma c'è un breve trafiletto de La Gazzetta dello Sport del 26 dicembre 1897 che riferisce di una partita amichevole giocata dalle due squadre di Torino, l'Internazionale contro il Football Club, dove si parla proprio del Bosio giocatore: “(...) Edoardo Bosio, il vecchio giocatore, sembra dare dei punti ai più giovani, corretto ed agile come se avesse ancora vent'anni.”
In campionato, è presente nelle prime tre edizioni: nel 1898 e 1899 giocando appunto con l'Internazionale e nel 1900 con il F.C. Torinese, che nel frattempo aveva assorbito l'Internazionale. Proprio in quell'ultimo anno durante la semifinale giocata il 15 aprile segna ben tre reti al Milan qualificandosi così, con la sua squadra, per la finale che poi perderà contro il Genoa. Inoltre è presente all'incontro giocato a Torino il 30 aprile 1899 tra una rappresentativa di giocatori che partecipavano al campionato italiano e una rappresentativa di giocatori militanti nel torneo svizzero, partita quella che costituisce il primo incontro internazionale giocato in Italia.
Pare quasi scontato dirlo ma Bosio fu anche tra i fondatori nel 1898 della Federazione Italiana del Football (poi F.I.G.C.). Per concludere, da segnalare anche che si cimentò nel cinema nel 1914 come regista e fotografo del cortometraggio La vita negli abissi del mare.