martedì 31 maggio 2016

COPA AMERICA 1916

QUANDO LA COPA AMERICA NON ERA ANCORA COPA AMERICA (Parte 2)

Arrivati dunque tutti a Buenos Aires la competizione poteva cominciare; la formula prevedeva un torneo all'italiana con classifica finale le cui partite si disputarono all'Estadio Gimnasia y Esgrima tranne l'ultimo incontro che andò in scena presso lo stadio del Racing Club. 
José Piendibene
La gara di esordio venne giocata il 2 luglio tra l'Uruguay e il Cile e vide la netta affermazione degli uruguyani che si imposero 4-0; la prima, storica, rete della manifestazione fu segnata da José Piendibene, quello che passò alla storia per il fatto di non esultare mai dopo una marcatura per non offendere gli avversari. Piendibene fu un'autentica bandiera del Peñarol con la cui squadra vinse per ben 6 volte il titolo di campione dell'Uruguay segnando, tra il 1908 e il 1928, 253 reti. Il giorno seguente il Cile chiese formalmente che l'incontro venisse annullato a causa del fatto – a detta dei cileni – che l'Uruguay aveva schierato due giocatori africani. Nello specifico le accuse cilene riguardavano i calciatori Gradin e Delgado e anche se all'epoca nessuna squadra presentava giocatori di colore, il ricorso non venne accolto e i due calciatori poterono continuare la manifestazione; in particolare Gradin, nipote di schiavi africani, risulterà capocannoniere del torneo con 3 reti.
Il 6 luglio fece l'esordio la squadra di casa, l'Argentina, che non ebbe difficoltà a sbarazzarsi del Cile battendolo 6-1; i cileni chiusero la loro avventura due giorni dopo riuscendo ad impattare (1-1) contro il Brasile. Lo stesso Brasile due giorni dopo fermò i padroni di casa sempre con il risultato di 1-1 e chiuse il proprio cammino il 12 luglio perdendo 2-1 contro l'Uruguay, segnando con uno dei calciatori destinato a diventare tra i più famosi e forti della storia brasiliana, Arthur Friedenreich. El Tigre, questo uno dei suoi soprannomi, dotato di dribbling stretto e spiccato senso per la giocata d'effetto sarà un fromboliere di tutto rispetto e ancora oggi non c'è certezza sul numero di reti segnate in tutta la sua lunga carriera.
A quel punto, quando mancava una sola gara al termine, la classifica era comandata dall'Uruguay con un solo punto di vantaggio sui padroni di casa e la partita mancante era proprio Argentina-Uruguay.
 Il 16 luglio, data in cui era programmata la sfida che aveva assunto il sapore di finalissima, nel piccolo stadio Gimnasya y Esgrima entrarono migliaia e migliaia di persone, tanto che alcuni ne arrivarono a stimare circa 70.000, molti dei quali assiepati ovunque anche all'interno del rettangolo di gioco. Chiaro che in quelle condizioni non si poteva giocare ed infatti dopo 5 minuti tutto venne rinviato al giorno successivo, non più in quello stadio bensì in quello del Racing Club. La tensione pare giocò un brutto tiro alle due squadre che diedero vita ad un incontro privo di emozioni e bloccato, tanto che il risultato finale non si schiodò dallo 0-0 iniziale, ma tanto bastò all'Uruguay per confermarsi in testa alla classifica e quindi laurearsi campione del Sudamerica.
Questa la formazione della squadra vincitrice: 
Saporiti; Benincasa, Foglino; Zibechi, Delgado, Varela; Somma, Tognola, Piendibene,
Gradín, Marán



 

venerdì 27 maggio 2016

WALKIN'ON THE FOOT-BALL: LOUIS VAN HEGE

Uno dei giocatori più rappresentativi del football dei pionieri in Italia fu senza dubbio il belga Louis Van Hege, che segnò la sua avventura italiana con la maglia del Milan, nel quale giocò dal 1910 sino allo scoppio della Prima guerra mondiale. Fu una della “stelle” di quel football, di lui Antonio Ghirelli diceva essere “squisito e modernissimo” lo stile di gioco, uno dei più popolari ed amati calciatori del periodo pionieristico.
Dopo i suoi esordi nella squadra dell'Union St. Gilloise, ben presto grazie alle reti segnate a grappoli si iniziò a parlare di lui a livello internazionale e il Milan, durante un'amichevole giocata all'Arena nel marzo del 1910 riuscì a convincerlo a venire a giocare, e a lavorare, a Milano. Grazie al presidente rossonero Pirelli, Van Hege ottenne un posto di lavoro come impiegato alla Pirelli e una maglia da titolare nel Milan, iniziando così una magica avventura nel nostro calcio.
Soprannominato “pallido saettante” per la sua carnagione molto chiara e per i suoi dribbling fulminanti, ubriacanti in tutta velocità, era diverso da tutti gli altri giocatori visti in Italia: questi erano sì bravi nel dribbling-game, ma da fermi, mentre lui riusciva a dribblare gli avversari prendendoli in velocità, senza fermare il pallone.
Fu attaccante prolifico, con la maglia del Milan segnò quasi 100 reti in 5 anni con una media realizzativa impressionante di oltre un goal a partita. Giocatore simbolo di un periodo, fu soprattutto merito suo se il Milan riuscì in quegli anni ad essere sempre molto competitivo. Implacabile come marcatore, era oltremodo intelligente e capiva perfettamente quando era il momento di mettersi al servizio della squadra, attirando su di sé le attenzioni dei difensori avversari per lasciare che i suoi compagni si inserissero per le conclusioni grazie alla precisione delle sue sponde e dei suoi assist.
Emilio Colombo così ne tesseva le lodi sulle colonne de Lo Sport Illustrato: “Finissimo nell'arte di colpire in qualunque posizione il pallone, Van Hege, che non difetta di muscoli, è potente nel tiro in goal. Si serve nel tiro d'ambo i piedi e colla stessa sicurezza. Saetta da fermo e in corsa. Non disdegna il tiro lontano, di sorpresa.”
 
Nel 1915, attraverso un referendum indetto da La Gazzetta dello Sport Van Hege venne scelto quale giocatore più popolare del campionato. Poco dopo si interruppe la sua esperienza calcistica in Italia poiché la tragedia della guerra lo richiamò in patria, a combattere. 
Ritornò, durante i duri anni bellici, in Italia alcune volte per disputare alcuni incontri amichevoli di beneficenza in favore delle famiglie delle vittime e, nell'immediato dopo guerra esordì con la Nazionale del suo Paese all'età di trent'anni e vi giocò sino al 1924, conquistando la medaglia d'oro alle Olimpiadi del 1920.



martedì 24 maggio 2016

COPA AMERICA 1916

QUANDO LA COPA AMERICA NON ERA ANCORA COPA AMERICA (Parte 1)

Mentre in Europa imperversava un conflitto bellico che da lì a poco sarebbe sconfinato in tutto il mondo (o quasi), dall'altra parte dell'Atlantico, Argentina, Brasile e Cile stringevano un patto di non aggressione e cooperazione - il Pacto do ABC – con la finalità di porre un argine alla sempre più penetrante influenza statunitense nei Paesi dell'America Latina.
Se questo accordo, pur non essendo mai ufficialmente entrato in vigore per la mancata ratifica da parte dell'Argentina e del Cile ma sostanzialmente rispettato nei fatti, fu importante a livello politico ed economico, bello è pensare che possa essere stato in qualche modo prodromico per una storia che a noi interessa maggiormente, perchè proprio quella storia quest'anno taglia il traguardo dei 100 anni. Le tre nazioni prima menzionate, assieme all'Uruguay, infatti, nel 1916 diedero vita ad un torneo di futebol che prevedeva la partecipazione delle rispettive squadre rappresentative. 
Come sede di quel torneo fu scelta l'Argentina che proprio in quell'anno celebrava il primo centenario dell'indipendenza, proclamata solennemente a Tucuman il 9 luglio 1816, a seguito delle campagne condotte tra il 1814 e il 1817 da Simon Bolivar e Josè de San Martin.

Tutte le partite vennero giocate a Buenos Aires dal 2 al 17 luglio del 1916 e, come detto, a contendersi la vittoria furono le selezioni di Argentina, Brasile, Cile ed Uruguay, nazioni che, proprio in quei giorni, diedero vita alla Confederazione Sudamericana del Football (CONMEBOL). Nasceva così il primo Campeonato sudamericano de selecciones, che non era ancora Copa America ma c'eravamo quasi.
Luciano Sartirana, nel suo monumentale Nel settimo creò il Maracanã, racconta di come la Seleção brasileira raggiunse Buenos Aires:
La Federação aveva prenotato i posti per calciatori e delegazione sulla nave Jupiter, dove viaggiano anche parlamentari brasiliani diretti nella capitale argentina in occasione del centenario dell'indipendenza di quel Paese. Saputo che avrebbe viaggiato con dei calciatori, il senatore nahiano Rui Barbosa dichiara che non avrebbe mai condiviso la nave con quella gentaglia (che definisce “vagabondi disoccupati”), né lui né i suoi colleghi. Qualcuno prova ad informarlo che la eleção è composta da persone chiques, commercianti, professionisti, figli di senatori...niente, non ci sente. I calciatori brasiliani devono scendere e prendere il treno per 2.638 chilometri”1
Arrivati dunque tutti a Buenos Aires la competizione poteva cominciare; la formula prevedeva un torneo all'italiana con classifica finale.

(Continua - 1)


1LUCIANO, SARTIRANA, Nel settimo creò il Maracanã, Edizioni del Gattaccio, Milano, 2013, Pag. 40

sabato 14 maggio 2016

WALKIN'ON THE FOOT-BALL: DOMENICO DONNA

Ho chiesto all'amico Stefano Bedeschi, juventino cantore della juventinità più passionale, più sincera e curatore del blog www.ilpalloneracconta.blogspot.it, di tratteggiare un ritratto di uno dei primi juventini che divennero campioni d'Italia nel 1905. Un omaggio doveroso nel giorno dei festeggiamenti per il quinto scudetto consecutivo. Grazie Stefano!

 
«È il piccoletto della compagnia – afferma Renato Tavella – muove nervoso gli occhi scuri e profondi su di un volto di furetto, senza mai stancarsi di dire la sua, arguta e sferzante. Rapido e scaltro gioca da avanti ed è titolare nell’undici titolare campione d’Italia del 1905. Abbandona l’attività agonistica nel 1910. Oramai avvocato di grido, seguita a diffondere l’idea Juventus fino all’ultimo giorno di vita. Cantastorie dei primi tempi, a lui e a Varetti si devono le pagine di “Sport”, bollettino che veniva inviato ai soci agli inizi del Novecento».
Con Domenico Donna, il mestiere dell’ala pionieristica comincia a prendere dei contorni precisi. Domenico è il giocatore che rappresenta meglio lo spirito della Juventus del primo scudetto. Sul baffo a manubrio di questo signore piccoletto e pazzerellone, si potrebbe scrivere la storia dei primordi bianconeri. L’ala alla Domenico Donna è giocatore di falcata breve ma rapidissima, che conosce a menadito le fasce laterali e, in quei corridoi stretti, misura tutto il proprio estro e la propria dedizione alla causa comune. Agile e altruista, Domenico ingaggia duelli furenti, ma cavallereschi, con il dirimpettaio terzino o back e, spesso e volentieri, lo inganna con serpentine di poetica vocazione. A questo punto, se il piede è quello buono, il compito dell’ala si esaurisce con il cross per il centrattacco o forward centrale. Di lì, non si sfugge. Donna tira pochissimo in porta e, praticamente, non segna mai. Segnare è compito di altri; il centrattacco sta lì per questo e poi, ci sono le mezzali. All’ala non si richiede né il calcio lungo, né la precisione del tiro. Deve, insomma, fare il gregario e filosofeggiare; ma c’è gloria per tutti, anche per i comprimari.
Juventus campione d'Italia 1905
 
«È molto modesto, ma un’occhiata alla fotografia vi convince del contrario – sostiene Caminiti – ha i baffi, naturalmente, e occhio furbo, come la coda del gatto; è secco e un po’ storto. È un poeta. Pensate che Donna odiasse i baffi? Semmai aveva in uggia se stesso, i suoi difetti, certa sua pigrizia, i suoi eccessi di fantasia. Giusto che scrivesse contro i baffi che nel tempo della favolosa “toilettes” ribaltavano la virilità. Donna come giocatore non vale molto. Perdonatelo se dietro il pallone arriva con la penna anziché la gamba…».

venerdì 6 maggio 2016

WALKIN'ON THE FOOT-BALL: FRANCESCO “FRANZ” CALI'

Legò indissolubilmente il suo nome a quello della Nazionale perchè lui fu il capitano del primo storico incontro che l'Italia giocò contro la Francia nel maggio del 1910, a Milano.
Calì, però, fu molto altro per il calcio pionieristico nostrano.
Nato in un paesino in provincia di Catania, a seguito di problemi economici della ditta del padre con la famiglia si trasferì a Zurigo e lì iniziò a giocare al pallone in una squadra locale mettendosi ben presto in luce come promettente attaccante e meritando il trasferimento all'Urania di Ginevra.
Di quegli anni Ossola e Tavella nel loro Cento anni di calcio italiano riportano una testimonianza di Vittorio Pozzo che incontrò Calì da avversario durante i suoi studi a Zurigo: “Ci andammo addosso l'uno l'altro piuttosto malamente. Rimasti ambedue a terra e sentita una mia parola di scusa in tedesco, giacché lo ritenevo tale, mi rispose, ridendo, in pieno e schietto genovese: 'Con me puoi parlare italiano, io sono de Zena'”
Ormai era di nuovo tempo di fare i bagagli e rientrare in Italia, a Genova, dove il padre riprese i suoi commerci in vino. Il giovane Calì giocò per un anno nel Genoa, giusto in tempo per perdere la finale del campionato del 1901 e quindi si trasferì nella Società ginnastica Andrea Doria e con la sua passione riuscì ad aprire la sezione calcio ed ad organizzare – come giocatore, allenatore e capitano – la squadra di calcio dell'Andrea Doria, con la quale già nel 1902 vinse a pari merito con il Milan il titolo di campione d'Italia nel torneo calcistico indetto dalla Federazione Ginnastica.

Da quel momento il nome di Calì fu per sempre legato a quello dell'Andrea Doria, con la quale giocò per dieci anni, sino al 1911. Lui stesso, in un'intervista rilasciata al giornale Genova Sport nel 1932 ricorda la vittoria che con l'Andrea Doria raccolse ai danni della Juventus in occasione della festa patronale di San Secondo ad Asti nel 1902. Al mattino si giocarono le semifinali e al pomeriggio la finale che si protrasse sino a dopo il tramonto senza che nessuna fosse riuscita a segnare. Allora la vittoria fu decisa dall'arbitro a testa o croce e a vincere furono i genovesi: al cronista al quale Calì raccontò questo episodio commentò con un eloquente “Quelli sì ch'erano tempi!”. Tempi eroici, dove ancora il campionato non era il torneo più importante, anzi, non lo era affatto. Ben più seguito ed ambito era un altro trofeo, la Palla Dapples che Calì e compagni riuscirono a strappare al Genoa nel dicembre del 1904, quando, sul campo di Ponte Carrega, l'Andrea Doria vinse 2-0.

Sicuramente, però, il momento più alto nella carriera di Calì fu, come detto all'inizio, l'aver partecipato al primo incontro della Nazionale italiana, facendolo – per giunta – come capitano. Solo due le sue presenze in Nazionale, ma sempre come capitano: a Milano contro la Francia e a Budapest contro l'Ungheria.
Appese le scarpette al chiodo, continuò come arbitro e come allenatore, presenziando in numerose Commissioni Tecniche che in vari momenti, tra il 1912 e il 1920, guidarono la Nazionale.




lunedì 2 maggio 2016

COPPA FEDERALE 1916

21. Girone finale: ultima giornata, il gran finale al Velodromo di Milano!

Berardo cerca di dribblare Pizzi e Cazzaniga
Un pubblico imponente, come da diverso tempo non si vedeva al Velodromo Sempione di Milano, non si lasciò sfuggire l'occasione di assistere alla partita decisiva per l'assegnazione della Coppa Federale. Infatti – vista la classifica – chi tra Milan e Genoa avesse vinto avrebbe portato a casa il trofeo, al contrario, in caso di pareggio, tutte e cinque le squadre avrebbero terminato il torneo a pari punti1.
Il primo tempo è stato di netta supremazia genoana: i rossoblu soprattutto con i suoi avanti Berardo, Bergamini, Wallsingam e Crocco hanno impegnato più volte la difesa milanista la quale ha avuto in Barbieri, Sala e Pizzi un baluardo insuperabile, capace di neutralizzare tutte le azioni più pericolose degli avversari. Però il Milan in questa prima fase dell'incontro non si è limitato a rintuzzare gli attacchi dei genoani, ma si è proposto anch'esso più volte in avanti soprattutto con Cevenini opportunamente sostenuto dal lavoro infaticabile della linea mediana guidata da Soldera. Pur essendo stato il Genoa ad avvicinarsi più pericolosamente alla porta avversaria, soprattutto con due azioni molto belle di Wallsingam e Crocco, è stato il Milan che al 43° minuto con Morandi – partito in evidente posizione di fuorigioco – a passare in vantaggio2
De Vecchi toglie il pallone ad Avanzini
La ripresa iniziava con azioni da una parte e dall'altra: il Milan a cercare di chiudere il discorso vittoria, il Genoa il pareggio. Dopo cinque minuti il Genoa che riesciva a pareggiare: per un fallo di Sala commesso in area ai danni di Brezzi l'arbitro concedeva un calcio di rigore ai rossoblu che veniva trasformato da De Vecchi. La partita diventava ancor più bella ed avvincente, entrambe le squadre cercavano di segnare il secondo goal e al 54° minuto, per un fallo di De Nardi su Cevenini commesso proprio al limite dell'area l'arbitro fischiava ancora un rigore, questa volta a favore dei padroni di casa. Sul dischetto si portava Cevenini che segnava ma l'arbitro faceva ripetere poiché alcuni giocatori erano entrati in area prima del calcio; sicuro, Cevenini si ripresentava davanti al portiere e segnava ancora, questa volta calciando verso l'angolo opposto rispetto al primo tiro. 2-1 per il Milan. Il Genoa pareva accusare il colpo, i rossoneri cercavano di approfittarne per chiudere la partita ma al 63° minuto i rossoblu andavano molto vicini al nuovo pareggio con Wallsingam che impegnava severamente Barbieri il quale non senza fatica, anzi per molti spettatori addirittura oltre la linea di porta, parava il tiro. Il momento era decisivo. Passavano un paio di minuti e da un rinvio teso di Soldera Cevenini bruciava sullo scatto De Vecchi involandosi in porta e giunto davanti al portiere lo fulminava segnando il 3-1 finale per il Milan. La partita a quel punto era segnata, le azioni diventavano più confuse, l'arbitro espelleva Ferrario del Milan e Bergamini del Genoa ma nessuna delle due squadre riusciva più a segnare e così il Milan si portava a casa partita e coppa.
Frezzi, De Vecchi, De Maria
Emilio Colombo dalle colonne de La Gazzetta dello Sport così commenta la vittoria dei rossoneri:
(...) Il Milan ha vinto perchè ha saputo maggiormente resistere alla fatica richiesta dalla lotta senza quartiere che le due squadre hanno dovuto sostenere per cercare di sopraffarsi a vicenda. Se non vi fosse stato ieri un Milan privo di Van Hege, noi oseremmo dire che la fortuna ha assistito in parte – pur non influendo sull'esito della disputa – ancora e sempre i rosso-neri. Ma prima di ogni disamina giova ripetere che il team di Cevenini ha vinto perchè ha saputo con più ferrea tenacia volere fortemente tutto il resto: momento di scoramento degli avversari, qualche svista – chi non falla in un match di tanta importanza – dell'arbitro, qualche provvida e fortunata decisione del momento critico, non conta. La verità è che la squadra del Milan, fortunata nel primo tempo, non s'è scoraggiata dopo l'ottenuto e meritato pareggio dei genoani, ed ha continuato a prodigarsi, al contrario dei genovesi i quali, colpiti severamente da una grave punizione, che costò loro il secondo punto, si piegarono di schianto, disordinando le fila e sciupando ogni bella trama di giuoco.3

Terminava dunque, dopo oltre quattro mesi di partite, la Coppa che la Federazione aveva messo in palio in pendenza del campionato dell'anno precedente non ancora concluso. Coppa che servì anche
come distrazione per il pubblico dalle angosce della guerra.

MILAN-GENOA 3-1

CLASSIFICA FINALE:
11 MILAN
10 MODENA
10 JUVENTUS
9 GENOA



 
1Cfr L'Illustrazione della guerra e la stampa sportiva del 7 maggio 1916
2Cfr La Stampa del 1° maggio 1916
3Cfr. La Gazzetta dello sport del 1° maggio 1916