venerdì 14 novembre 2014

LA PALLA DAPPLES

Non ci crederai, ma c'è stato un trofeo che a suo tempo era più importante addirittura del campionato. C'è stato un tempo in cui il campionato era solo un torneo come tanti altri. A quel tempo le grandi squadre si contendevano la palla Dapples.
A Genova ancora adesso vanno fieri di aver messo lo zampino – e che zampino... - anche in questa idea. E a ragione. Fu il vice presidente del Genoa, l'inglese Henry Dapples, che nel dicembre del 1903 regalò alla propria squadra questo trofeo d'argento dalle dimensioni di un pallone affinché lo mettesse in palio. Partita secca da giocarsi sul campo della detentrice, chi vince si prende la coppa, ma la deve mettere in palio contro chiunque lanci la sfida.
Il regolamento prevede che la sfida avvenga con regolare dichiarazione fatta per iscritto a mezzo raccomandata; la scelta dell'avversaria cade sulla squadra che per prima in ordine di tempo l'ha lanciata, oppure a parità di tale requisito, sul team che mai l'abbia disputata o che provenga dal luogo più lontano rispetto alla città sede del club detentore. La partita si gioca sul campo del detentore, non è previsto rimborso per le spese di trasferta.
Una data: domenica 20 dicembre 1903. Un luogo: Genova, Ponte Carrega. La partita, la prima partita: Genoa-Andrea Doria. Parità, 1-1. La Palla rimane al Genoa, perchè così vuole il regolamento. Chi detiene il trofeo per mantenerlo ha il vantaggio di poter contare su due risultati su tre.
La formula è semplice, il successo clamoroso. D'un tratto tutti vogliono la Palla Dapples. Potenza della pubblicità, potremmo dire. I giornali la pubblicizzano senza risparmiarsi, concedendo grande spazio a questa sfida, accrescendone, man mano che le partite si disputano, sempre più il mito.
Chiunque può sfidare il detentore, abbiamo detto. Il mezzo della raccomandata inviata per posta viene ben presto aggirato dall'ingegno dei dirigenti dell'epoca: c'è chi si presenta con tanto di testimoni al campo, appena terminata la partita, a consegnare a mani la lettera con la sfida alla squadra che si è appena aggiudicata la coppa, per arrivare prima delle poste. Per arrivare prima di arrivare in posta! E non è affatto infrequente che quella lettera di sfida venga redatta lì, a bordo campo. Con le contestazioni e i reclami alla Federazione che si sprecano. La Palla Dapples accende gli animi dei dirigenti, stuzzica le ambizioni delle squadre, è il simbolo di quegli anni di pionierismo verace e tumultuoso. Uno status symbol tra le società di calcio. Per tentare di mettere un po' d'ordine, la Federazione decide di intervenire ed impone che la sfida venga lanciata mediante telegramma. Cambia il mezzo di comunicazione, rimane la corsa contro il tempo. A far fede è l'orario di spedizione del telegramma. Gli sfidanti allora si ingegnano ancora, arrivano a spedire telegrammi contemporaneamente alle due squadre impegnate nell'incontro, senza attendere che la partita finisca, per tentare di bruciare sul tempo gli altri sfidanti. Insomma, è una corsa all'oro, la corsa alla conquista della Palla Dapples!
Ma perchè questo fervore? Te l'ho detto: perchè tutti ne parlano. E perchè quelli sono gli anni dei trofei, delle coppe. Le bacheche sono vuote e occorre riempirle. E a contendersi quella coppa ci sono le migliori squadre del tempo.
Il challenge Dapples fu dal 1903 al 1909 il trofeo più importante nell'Italia calcistica dell'epoca, il suo “mito” si compone di 48 incontri: il Milan è la società che vanta più vittorie, ben 22, il Genoa è la squadra che se la aggiudicherà definitivamente, vincendo il quarantottesimo ed ultimo incontro, domenica 26 dicembre 1909, un crepuscolare 10-0 allo Spinola Football Club Rivarolo. È una data a suo modo storica, quella del 26 dicembre 1909, anche se nessuno te lo dirà e probabilmente non la troverai in nessun libro di storia del football che si rispetti. Ma è storica eccome. Finisce l'età dei trofei, delle coppe e delle targhe. Il campionato, che ha ormai 10 anni di partite alle spalle, si prende tutto. Nel 1909 la Federazione emana il primo regolamento organico del gioco del calcio in Italia, col quale intende regolamentare tutta l'attività calcistica e pone al centro di tutta la sua attività il campionato, da lì in poi vero faro di tutto il football – anzi, calcio – in Italia.
La Palla Dapples il 26 dicembre 1909 mette in scena l'ultima rappresentazione di un modo di vivere il football che non c'è più.

lunedì 3 novembre 2014

Sport Club Juventus

Potremmo anche parlare di feste patronali, di gite fuori porta. Di sagre e football, magari. Raccontare di qualcosa che nessuno – o quasi – conosce più.
La nascita dello Sport Club Juventus è legata ad una panchina, vero. Ad una panchina, ad un liceo e a una città, Torino, all'epoca dei fatti vera capitale del football da queste parti.
L'autunno è quello del 1897. Al calcio si gioca al Velodromo o in Piazza d'Armi. Ci gioca il footballer e ci gioca il ginnasta. Ci gioca lo studente dopo la scuola e ci gioca il nobile della città. Ci gioca chi ha voglia di stare con gli amici e ci gioca chi è assetato di novità.
La leggenda narra di una panchina, ti ho detto. E di un gruppo di studenti del liceo Massimo D'Azeglio che giocavano a barra e a football, tentando di emulare i “veri” footballers delle squadre della città. Su quella panchina di Corso Re Umberto – continua la leggenda – c'è questo manipolo di liceali che sta cercando di darsi un nome, di inventare un'identità alla loro comune passione. Si pensa in latino, certo. Si parla per immagini che affondano radici nel passato, inevitabile per degli studenti del ginnasio di quei tempi. Così, tra un Iris Club e una Robur, tra un'Augusta Taurinorum e un Massimo D'Azeglio, la spunta un nome mezzo inglese e mezzo latino: Sport Club Juventus. A leggere ciò che ha tramandato Enrico Canfari – uno che quei giorni c'era eccome nel gruppetto – il nome piaceva a pochi: venne scelto. Vai a capirli i pionieri del football, eh?
Canfari. Perchè adesso è facile credere che la Juventus ci sia stata da sempre grazie alla famiglia Agnelli, ma mica è vero. Gli Agnelli arriveranno dopo, e tra qualche tempo ne parleremo. Prima, da subito, un'altra famiglia ha legato il proprio nome ai primi passi della Juventus. I fratelli Enrico ed Eugenio Canfari misero a disposizione degli amici della panchina l'officina del padre, in Corso Re Umberto al numero 42, come luogo per stabilire la prima, storica, sede sociale. Sempre loro, i fratelli Canfari, scelsero la prima divisa, la più economica che avessero trovato. Perchè un'altra differenza con i tempi di oggi, devi sapere, è che il football, all'epoca, viveva di stenti. Dicevo, divisa economica ma non per questo non elegante: camicia di percalle rosa, pantaloncini neri con fascia e cravatta dello stesso colore.
Quei ragazzi erano pronti a sfidare chiunque! Anche se “chiunque” all'epoca non era concetto dal recinto molto vasto. Le altre squadre di Torino, certo. Ma anche di Milano e Genova. Tutto a portata di treno. Insomma, i ragazzi in camicia rosa iniziavano a scrivere la loro storia con le prime sconfitte, ma ben presto quel nome, Juventus, era nome richiesto per amichevoli ed “exibition”, come si diceva all'epoca. Soprattutto in estate, quando i primi campionati e tornei erano fermi. In estate, infatti, la Juventus si esibiva in vere e proprie piccole tournée nelle sagre e feste nei paesi limitrofi Torino. Ecco perchè all'inizio ti ho detto che avremmo potuto parlare di sagre. Perchè la prima Juventus ci si divertiva, alle feste di paese. Enrico Canfari, nelle sue memorie, a proposito di quei primi tempi dice:
La Juventus ormai aveva un nome che poteva ben figurare sui cartelli delle feste patronali assieme al Ballo à Salon e alla Rottura delle Pignatte”
Ti sembra sconveniente parlare di questi inizi?
Accidenti del primo scudetto del 1905 si sa tutto, anche della prima partita giocata nel campionato italiano, nel 1900 o delle nuove maglie “inglesi” a strisce bianconere sai com'è andata a finire. Se vogliamo raccontare di come tutto è nato, beh, questi sono i fatti, fatti ormai caduti nell'oblio, ma importanti perchè ci raccontano, meglio di tanti trattati sociologici, come era vissuto il football oltre un secolo fa: un gioco, una festa. Un'occasione per socializzare. Un po' come facciamo noi quando tiriamo sino a tardi nel nostro bar preferito.