Quarantanni. Tutto attaccato, tutto d'un fiato. Come un rossitardellialtobelli in finale. Come tutte le cose del calcio da ricordare, da portare con sé nei sentieri della vita. Ricordo tutto del mio mundial. La sconfitta dell'Argentina campione del mondo in carica contro il Belgio, nella partita inaugurale. Ardiles con il numero 1. Per dire. Ricordo la mia bicicletta, il mo album di figurine e il quaderno dove scrivevo i tabellini di tutte le partite e dove avevo incollato i ritagli degli stemmi delle squadre da TV Sorrisi e Canzoni. Avevo 9 anni in quella fine primavera di quarantanni fa, e un Tango appena regalato dai miei genitori.
Avevo Zoff, Maradona, Dasaev, Platini, Lato, Keegan. Avevo tutto il Brasile, quel Brasile, il “mio” Brasile. Il Brasile di tutti quei ragazzini che hanno avuto la fortuna di innamorarsi del football in quegli anni.
E pomeriggi e sole. Goldrake e Rossi.
I ricordi non sono lineari, partono da un rigore sbagliato da Cabrini in finale, a Castelnuovo di Sotto, provincia di Reggio Emilia, Emilia Romagna, Italia, Europa del sud, Terra, e portano dove vogliono loro. Sanno fare molto bene il loro mestiere, i ricordi. Virano improvvisi, saltano come una catena di bicicletta, e mi ritrovo aggrappato al bancone di un bar, con mio padre al fianco, tra le urla di gioia per quel brasiliano di Conti che ha appena segnato una rete al Perù. E io là in mezzo, piccolo tra i grandi al bar. Subito rotolo con i ricordi più in là – prima, dopo, sopra, sotto non so – quando uno sceicco scende in campo per chiedere all'arbitro di annullare una rete della Francia contro il suo Kuwait e io davanti alla TV, a casa del fratello di mia nonna.
L'ho detto. L'ho scritto. Quello è stato, è il mio mundial. Non ce ne sono stati più di mundial così, visti sull'ottovolante dei miei 9 anni, tra una partita al pallone giocata dietro la stalla e una guardata sotto le stelle nel giardino dei miei nonni, in un televisore che ora andrebbe bene forse come schermo di uno smartphone. Ma quello era il mio mundial, accidenti! C'erano le reti di Rossi contro il Brasile, contro il “mio” Brasile e quella semifinale infinita tra la Francia e la Germania Ovest.
Il mattino dopo la finale, in edicola con La Gazzetta dello Sport aperta, spalancata su un trionfo inaspettato, ma i ricordi mi rimettono in sella alla mia bicicletta. Sono di nuovo a casa, con i miei genitori. Reggio Emilia, Emilia Romagna, Italia, Europa del sud, Terra. Mia madre che stira, mio padre ed io che guardiamo un servizio sui 10 goals che l'Ungheria ha rifilato al povero El Salvador. E allora via, ad imparare i nomi impronunciabili di quegli invincibili magiari, che poi tanto invincibili non sono e non saranno, ahiloro. Nylasi (che ancora dopo quarantanni non so come si scrive), l'eroe di serata. Non c'è nulla da fare, è il mio mundial che mi accorgo solo ora di aver vissuto da ramingo: una partita dai miei, una da un cugino, da amici, dagli zii, al bar con mio padre, in cortile con gli amici appesi alla radio accesa, da un vicino di casa, alla bocciofila con mio nonno.
Il mio mundial.
Poi sono arrivati gli altri mondiali. Gli anni allo stadio. Altre biciclette e altri album Panini. Un altro calcio. Ma il mio mundial no, non è più tornato.
Sono quarantanni che ne aspetto un altro.
Nessun commento:
Posta un commento