Il calcio italiano degli anni'20, come sappiamo, era
scosso da violenti polemiche e duri scontri al proprio interno che
fomentavano la già di suo inquieta folla che sempre più seguiva,
discuteva e si appassionava alle vicende calcistiche. A ciò si
accompagnava una grave crisi finanziaria e di “potere” che
attanagliava gli enti del calcio dell'epoca. Quel che accadde nel
1926 offrì il pretesto al regime per rafforzare in maniera decisiva
la sua presenza e la sua influenza all'interno delle strutture
calcistiche.
Tutto prese avvio dalla proclamazione di uno sciopero
della classe arbitrale nel maggio di quel 1926, dopo che la
Federazione annullò la vittoria del Casale sul Torino del 7 febbraio
a seguito delle vibranti proteste dei granata adducendo quale
motivazione il fatto che l'arbitro non avrebbe diretto con la dovuta
serenità l'incontro.
Già
da alcuni anni una commissione di “saggi” stava lavorando per una
strutturale riforma del calcio e proprio nella primavera del'26
statuì per il Regolamento arbitrale una bizzarra norma che prevedeva
la possibilità per le società di indicare un certo numero di
arbitri “non graditi”, i quali per tutta la stagione non
avrebbero arbitrato quelle squadre. L'Annuario
del Giuoco del Calcio italiano
nell'edizione del 1929 riporta per intero il testo della norma,
prevista all'art.11 del Regolamento degli Arbitri:
“Ogni
società, entro 10 giorni dal ricevimento dell'elenco degli arbitri,
avrà diritto di indicare alla Commissione sportiva (federale) un
numero di arbitri non superiore all'8% del totale contenuto
nell'elenco stesso. La Commissione stessa per tutta la stagione
sportiva iniziantesi, non dovrà destinare tali arbitri alla
direzione delle partite che la società che li ha indicati dovrà
disputare sia sul proprio campo sia su campo avversario.
Le Società non sono tenute a dichiarare i motivi
della indicazione salvo si tratti di casi di indegnità”
Ovviamente questa norma non venne accolta bene dal mondo
arbitrale e al termine di una riunione tra tutti gli arbitri, il 30
maggio 1926 l'Associazione degli Arbitri emanò un durissimo
comunicato:
“Il
Consiglio plenario dell'Associazione Italiana degli Arbitri, riunito
ieri a Milano, presa in esame la situazione creatasi in seguito alle
ultime decisioni degli Enti Federali (…) delibera alla unanimità
di invitare i colleghi di tutte le categorie a ritornare alla
Commissione sportiva entro il giorno 5 giugno 1926 la tessera di
arbitro, spontaneamente rinunciando ad assolvere l'ufficio, che non è
più tutelato da leggi scritte, ma è abbandonato all'arbitrio di
parte”
Per farla breve, sciopero.
Lando Ferretti |
Insomma c'era il concreto rischio che il campionato non
vedesse la fine perchè ovviamente non si poteva giocare senza
arbitro, ma fu qui che intervenne in maniera decisa il regime. Per
trovare una soluzione venne investito della questione il C.O.N.I. -
ente controllato dal regime – il cui presidente già dal 1925 era
Lando Ferretti, nominato direttamente da Mussolini. Ferretti ci mise
molto poco ad intervenire: ordinò l'immediata cessazione dello
sciopero arbitrale e la ripresa del campionato e il 7 luglio nominò
una commissione di tre saggi (Mauro, Foschi, Graziani) con il compito
di riformare radicalmente l'organizzazione calcistica italiana. Nello
specifico ai tre esperti venne demandata la soluzione alle seguenti
questioni:
a) Assegnazione delle Società alle varie categorie e
organizzazione dei campionati;
b) Classifica dei giocatori;
c) Sistemazione tributaria;
d) Gerarchie dell'ente
Da quella commissione, nel giro di sole tre settimane,
venne emanata e sottoposta all'approvazione del C.O.N.I. il 2 agosto
1926 la cosiddetta “Carta di Viareggio” che modificava in senso
sostanziale tutta l'attività calcistica italiana.
Così
La
Stampa
del 3 agosto riportava la notizia:
“In
una sala del Municipio di Viareggio si è riunita questa mattina e
nel pomeriggio di oggi la presidenza del C.O.N.I. per la sistemazione
della Federazione Italiana del Giuoco del Calcio. (…) dopo un breve
rendiconto finanziario, i convenuti hanno ricevuto una Commissione
delle Società di Prima Divisione escluse dalla Divisione Nazionale.
Nel pomeriggio, poi, ha avuto luogo un'ampia discussione alla quale
hanno preso parte quasi tutti gli intervenuti, e che si è conclusa
con l'accettazione delle proposte degli esperti. I punti fondamentali
della riforma dell'Ente calcistico stabiliscono tra l'altro che i
giuocatori vengano divisi in due categorie: dilettanti e non
dilettanti.
Alle Società iscritte al Campionato italiano è
fatto divieto di allineare nei propri ranghi giuocatori di
nazionalità straniera: come norma transitoria è ammesso per gli
anni 1926-27 il tesseramento di due giuocatori da parte di ciascuna
Società, con l'obbligo però di non farne partecipare più di 1 per
ciascuna partita. Sono stati poi presi provvedimenti circa il
trasferimento dei giocatori e si è fissata la data di inizio
Campionato italiano, che verrà diviso in due gruppi.
Si è proceduto infine alla costituzione di un
Comitato Tecnico arbitrale, con sede a Milano”
Cambiava un po' tutto, quindi. Soprattutto per quel che
riguardava la struttura interna federale che veniva riorganizzata in
senso strettamente gerarchico e le cariche stesse che non erano più
elettive bensì a nomina: veniva istituito un Direttorio Federale
composto da 7 elementi tutti eletti direttamente dal C.O.N.I. - e
dunque dal Partito – a capo del quale veniva nominato il gerarca
fascista bolognese Leandro Arpinati; a sua volta il Direttorio
Federale avrebbe nominato tutti gli organi dipendenti, e cioè il
Direttorio delle divisioni superiori (Divisione Nazionale e Prima
Divisione) e il Direttorio delle divisioni inferiori Nord e Sud
(Seconda Divisione Nord, Seconda Divisione Sud, finali interregionali
e Terza Divisione).
Inoltre la riforma seguiva la via tracciata anni prima
dal Progetto di riforma dei campionati ideata da Vittorio Pozzo, teso
all'unificazione territoriale del campionato: venne dunque creata una
Divisione Nazionale formata da 20 squadre divise in due gironi, di
queste ben 16 appartenevano alla Lega Nord alle quali si aggiunse una
diciassettesima individuata tramite torneo di spareggio tra le otto
retrocesse nell'anno precedente; completavano il quadro due squadre
del sud e d'ufficio la romana Fortitudo. Era un ulteriore e decisivo
passo verso il Girone Unico del 1929/30.
Ultimo aspetto, non certo il meno importante, riguardava
il nuovo “status” del calciatore. La Carta di Viareggio recepiva
quanto già statuito dalla F.I.F.A. nel congresso di Roma del 1926
laddove la Federazione internazionale, pur continuando a proclamare
il principio del dilettantismo per i calciatori, di fatto lasciava
alle singole federazioni nazionali il compito di inquadrare
concretamente il calciatore e quindi – in altre parole – dava
loro la possibilità di prevedere un “compenso” per i giocatori.
Ovviamente quel “compenso” non poteva essere in alcun modo un
compenso diretto, ossia elargito in relazione ad una prestazione di
gioco, ma poteva benissimo essere inteso nel senso di “risarcimento”
per il “mancato guadagno” che il calciatore avrebbe subito a
causa dell'attività calcistica. Capirete bene che si è al cospetto
di un capolavoro linguistico...
Dicevamo,
la Carta di Viareggio si adeguò e, pur non riconoscendo il
professionismo, distinse i calciatori in Dilettanti e Non Dilettanti,
prevedendo per questi ultimi l'obbligo di depositare in Federazione
“copia
degli impegni di rimborso spese e mancato guadagno, firmata dal
rappresentante della Società e dal giocatore”.
Sull'argomento, per la portata in sé e per l'influenza
che ebbe nel calcio a venire, torneremo a settembre con un
approfondimento in tre puntate.
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