“Sono
entrati a Caporetto quattro ore dopo l'inizio dell'attacco. La
stretta del Lemer è stata superata in uno sbalzo dagli «arditi»
tedeschi che si sono spinti sulla strada da Ravna a Drezenka nel
fitto del temporale, mentre i nostri soldati, dopo il turbine dei
proiettili caduti sulle posizioni, in una sosta di fuoco, avevano
avuto la sensazione che l'attacco già sferrato fosse stato sospeso.
(…) Così è cominciata l'aspra battaglia, così una delle porte di
casa nostra è stata abbattuta.”1
Queste
parole, drammatiche e angoscianti, sono l'inizio del resoconto del
corrispondente di guerra Raffaele Garinei che per Il
Secolo illustrato
compone un vero e proprio diario di quelle tremende giornate. Il
racconto viene pubblicato circa un mese e mezzo dopo l'attacco ed
interessante è leggerle alla luce di quello che invece fu il
bollettino ufficiale emanato dal Comando Supremo in quello stesso 24
ottobre:
“L'avversario,
con forte concorso di truppa e mezzi germanici, ha effettuato a scopo
offensivo il concentramento di numerose forze sulla nostra fronte.
L'urto nemico ci trova saldi e ben preparati.”2
In
realtà i soldati italiani – presi dal panico – arretrarono per
ben 20 chilometri e nel pomeriggio le truppe tedesche entravano a
Caporetto, dopo aver fatto 30.000 prigionieri italiani. La sera del
25 ottobre, al termine di un'altra giornata drammatica per l'esercito
italiano, l'ambasciatore a Londra Imperiali comunicava a Sonnino di
aver parlato con il Primo ministro inglese Lloyd George chiedendogli
“con energica franchezza” di accogliere le richieste italiane di
approvvigionamento di grano. Infatti, proseguiva Imperiali, se gli
aiuti alimentari fossero stati tempestivi ed esauditi come da
richiesta, il governo italiano era in grado di resistere, cosa che
invece non poteva garantire se la popolazione avesse conosciuto la
fame, poiché “la
deficienza del pane genererebbe fatalmente contro la guerra una
agitazione che nessun Governo sarebbe per ragioni di piena evidenza
capace di fronteggiare.”3
La
situazione era critica e ben presto i soldati italiani, dopo il terzo
giorno di strenui combattimenti, iniziarono ad abbandonare le
posizioni sull'Isonzo e il disfattismo incominciava a farsi largo
nelle retrovie. Lo stesso Lloyd George non faceva mistero con
Imperiali della gravità della situazione italiana, situazione che
andava via via peggiorando tenuto conto della notizia che erano in
arrivo ben 55.000 uomini provenienti dalle riserve tedesche di stanza
in Alsazia verso le stazioni di Merano e Bolzano4.
Il calcio nel frattempo non si fermava e domenica 28 ottobre si
giocava la quarta giornata della Coppa Mauro. In realtà il football in Italia non si era mai fermato del tutto. Il
Milan era la squadra che potremmo definire la dominatrice di quegli
anni di guerra. Nel 1916 aveva vinto la Coppa Federale e l'anno
successivo la Coppa Lombardia. Nell'autunno del 1917 il vice
presidente e reggente della F.I.G.C. Francesco Mauro mise in palio
una coppa – che portava appunto il suo nome – approvata dal
Comitato Regionale Lombardo. Si iscrissero sette squadre, ben cinque
di esse erano di Milano, oltre al Legnano e al Saronno..
Il 29 ottobre tutti i quotidiani italiani riportavano in prima
pagina il tremendo bollettino di guerra firmato dal Capo di Stato
Maggiore dell'esercito Cadorna che di fatto rendeva edotta la
popolazione italiana della disfatta che si stava consumando sul
fronte Giulia:
“La
violenza dell'attacco e la deficiente resistenza di alcuni reparti
della seconda armata hanno permesso alle forze austro-germaniche di
rompere la nostra ala sinistra sulla fronte Giulia. Gli sforzi
valorosi delle altre truppe non sono riusciti ad impedire
all'avversario di penetrare nel sacro suolo della Patria.
La
nostra linea si ripiega secondo il piano stabilito. I magazzini ed i
depositi dei paesi sgombrati sono stati distrutti. Il valore
dimostrato dai nostri soldati in tante memorabili battaglie
combattute e vinte durante due anni e mezzo di guerra dà affidamento
al Comando Supremo che anche questa volta l'esercito al quale sono
affidati l'onore e la salvezza del Paese saprà compiere il proprio
dovere.”5
Il
bollettino suscitò comprensibilmente paura e fortissime polemiche.
Molte di queste ruotavano attorno al “tono” usato da Cadorna,
tanto che alcuni ambasciatori, tra i quali Imperiali a Londra,
provarono a bloccarne la pubblicazione, sostituendolo con un secondo
bollettino, emanato alcune ore più tardi dal ministro Scialoja. In
effetti a Londra venne pubblicato questo secondo bollettino, il quale
seppur mantenendo ferma la sostanza drammatica del primo, usava toni
meno duri e meno apertamente accusatori nei confronti di alcuni
reparti d'armata. Il punto era uno e uno soltanto: il bollettino di
Cadorna comunque era arrivato alle ambasciate e ai giornali e il suo
contenuto e la drammaticità del linguaggio adoperato avevano
impressionato notevolmente la stampa inglese, la quale se anche non
lo pubblicò, ovviamente ne rimase influenzata nei commenti e
soprattutto iniziò seriamente a considerare quanto avrebbe potuto
“tenere” il nostro Paese. È lo stesso Imperiali che lo dice
apertamente a Sonnino6.
Sulle impressioni non positive che questo bollettino suscitò in giro
per l'Europa ne dà un esempio Sonnino in un telegramma inviato allo
stesso Cadorna il 30 ottobre dove spiega senza giri di parole che
“constatando e
segnalando ufficialmente gravi deficienze delle truppe italiane” si
correva il rischio di spegnere il desiderio degli altri Governi di
mandare aiuti all'Italia e di “disperdere
il capitale di simpatia stima e sentimento di solidarietà acquistato
in due ani e mezzo di lotta”.
In altri termini, Sonnino manifestava il proprio terrore che l'Italia
perdesse credibilità come alleato e come Nazione in grado di portare
un contributo determinante alla vittoria finale.7
Il testo del bollettino che tanto faceva discutere e che abbiamo
riportato più sopra in verità si differenziava lievemente rispetto
al testo del bollettino di guerra n.887 firmato da Cadorna,
soprattutto nell'utilizzo di una durissima espressione, poi
cancellata nel testo dato alla stampa. Il testo firmato, riveduto ed
approvato da Cadorma era il seguente: “La
mancata resistenza di reparti della seconda Armata vilmente
ritiratisi senza combattere ignominiosamente arresasi
al nemico, ha permesso alle forze austro germaniche di rompere la
nostra ala sinistra sulla fronte Giulia. (...)”8.
Cadorna stesso, successivamente a quegli eventi, spiega il perchè di
quel durissimo bollettino, giustificando l'utilizzo di quelle
espressioni per una duplice ragione. Prima di tutto – sostiene –
nel biasimare il comportamento di alcuni reparti e contemporaneamente
nell'esaltare il comportamento opposto della Terza Armata voleva –
o quantomeno questo era il suo scopo – dimostrare che non tutto
l'Esercito era in rotta ma esistevano reparti che ancora credevano
alla vittoria e si battevano per essa. In altre parole limitando la
responsabilità ad alcuni reparti si limitava anche la sfiducia che
avvolgeva tutto l'Esercito. La seconda ragione addotta da Cadorna era
che “le piaghe
vanno curate a tempo col ferro e col fuoco, non con le ipocrisie di
una falsa pietà patriottica.(...) La macchia c'era, era meglio,
secondo me, che l'esercito e il Paese sentissero subito la necessità
di lavarla.”9
Il
piano di battaglia predisposto da Cadorna dopo quelle drammatiche
giornate prevedeva una strenua difesa a tenaglia sul fronte a Nord e
su quello della Giulia, predisponendo un ulteriore ripiegamento di
resistenza ad oltranza in Carnia e in Cadore10.
Il 31 ottobre Raffaele Garinei così annotava sul suo diario:
“La
nostra manovra è riuscita: il piano austro-tedesco tendeva
all'accerchiamento della Terza Armata e allo schiacciamento
dell'Armata della Carnia: ma le nostre truppe sono sfuggite alla
tenaglia.”11
Il
1° novembre 1917 il Re accoglieva le dimissioni del Ministero
Boselli e affidava a Orlando l'incarico di formare il nuovo Governo
che giurava nello stesso giorno12.
( il link per poter votare il mio blog Storie di Football Perduto: http://www.superscommesse.it/blog_anno/blog/334/storie-di-football-perduto/.)
2Cfr.
La Stampa del 25 ottobre
1917, n°296
3DDI,
Serie V, Vol. IX, n.282
4DDI,
Serie V, Vol. IX, n.285 - 295
5Cfr.
La Stampa del 29 ottobre
1917, n°300.
6DDI,
Serie V, Vol. IX, n.301 e 315
7DDI,
Serie V, Vol. IX, n.320
8DDI,
Serie V, Vol. IX, n.299. Nota: la sottolineatura nel testo è
nostra, a segnalare la frase che tanto fece discutere.
9Il
testo è tratto dalla “memoria” che Cadorna presentò alla
Commissione d'Inchiesta e pubblicata da Cadorna stesso nel suo
Pagine polemiche, Milano,
Garzanti, 1951, pagg. 253-256. Qui è ripreso da una nota in calce a
DDI, Serie V, Vol. IX, n.299
10DDI,
Serie V, Vol. IX, n.310
11Cfr.
Il Secolo illustrato – Lo sport illustrato e la guerra
del
01 dicembre 1917, n° 23
12DDI,
Serie V, Vol. IX, n.338
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