INGHILTERRA - UNGHERIA, WEMBLEY, 25 NOVEMBRE 1953
Da,lle macerie della II Guerra mondiale nasce una squadra invicibile, piena di talenti, l'Ungheria di Puskas e Kocsis, di Hidegkuti e Czibor, l'Aranycsapat che nel novembre del 1953 viene invitata a giocare un'amichevole nientemeno che dai maestri inglesi, nel tempio inviolato di Wembley.
Quel pomeriggio davanti ad oltre 100.000 spettatori l'Ungheria domina e sovrasta gli inglesi. Già in rete dopo nenache un minuto, alla mezzora del primo tempo è in vantaggio 4-1 e concluderà l'incontro 6-3.
Questo murales è l'omaggio che Budapest ha fatto all'Aranycsapat nel 2013, in occasione del 60°anniversario della vittoria in casa dei maestri inglesi. La squadra d'oro ungherese, infatti, fu la prima squadra continentale a violare il sacro tempio di Wembley.
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martedì 20 dicembre 2016
lunedì 12 dicembre 2016
Album di football perduto
LA MEDAGLIA DEL RE. MILANO, TROTTER,
1902
Il trofeo venne donato dal Re Umberto I
all'Esercito italiano, il quale nel 1900 indisse una giornata
celebrativa di sport, mettendo in palio questo trofeo per la
competizione di football.
Il Milan si assicurò definitivamente
il trofeo vincendo tutte e tre le edizioni. Nel 1902 sconfisse, sul
proprio campo del Trotter, in finale il F.C. Torinese per 7-0
giovedì 1 dicembre 2016
Album di football perduto
GENOA - INTERNATIONAL FOOTBALL CLUB TORINO
Finale del campionato italiano di calcio giocato a Genova domenica 16 aprile 1899
La finale viene giocata sul campo di Ponte Carrega, in casa dunque del Genoa, campione d'Italia in carica. Dagli archivi della Fondazione Genoa 1893 leggiamo:
"Avendo un sopralluogo compiuto qualche giorno prima dell'incontro evidenziato l'inagibilità delle tribune, vengono messe delle sedie vicino al terreno di gioco a disposizione degli spettatori che vorranno pagare un sovrapprezzo al biglietto d'ingresso. L'incasso netto dell'incontro viene devoluto a un istituto di beneficenza."
La partita finisce con la netta vittoria del Genoa per 3-1, confermandosi così per la seconda volta campione d'Italia.
Finale del campionato italiano di calcio giocato a Genova domenica 16 aprile 1899
La finale viene giocata sul campo di Ponte Carrega, in casa dunque del Genoa, campione d'Italia in carica. Dagli archivi della Fondazione Genoa 1893 leggiamo:
"Avendo un sopralluogo compiuto qualche giorno prima dell'incontro evidenziato l'inagibilità delle tribune, vengono messe delle sedie vicino al terreno di gioco a disposizione degli spettatori che vorranno pagare un sovrapprezzo al biglietto d'ingresso. L'incasso netto dell'incontro viene devoluto a un istituto di beneficenza."
La partita finisce con la netta vittoria del Genoa per 3-1, confermandosi così per la seconda volta campione d'Italia.
venerdì 25 novembre 2016
Album di football perduto
PRO VERCELLI - INTERNAZIONALE
Spareggio per l'assegnazione del titolo di campione d'Italia giocato a Vercelli domenica 24 aprile 1910.
L'Internazionale vinse 10-3 contro la quarta squadra della Pro Vercelli, squadra che i piemontesi decisero di schierare a seguito delle polemiche sorte dopo la decisione federale di giocare lo spareggio il 24 aprile.
Nella foto sono ritratti, pochi istanti prima del calcio d'inizio, i due capitani: Virgilio Fossati (Internazionale) e Alessandro Rampini II (Pro Vercelli).
Dalle testimoniane dell'epoca, pare che Alessandro Rampini in quell'occasione si presentò con una lavagna e dei gessi che diede a Fossati per poter segnare tutte le reti che i nerazzurri avrebbero realizzato, senza correre il rischio di perderne il conto.
Spareggio per l'assegnazione del titolo di campione d'Italia giocato a Vercelli domenica 24 aprile 1910.
L'Internazionale vinse 10-3 contro la quarta squadra della Pro Vercelli, squadra che i piemontesi decisero di schierare a seguito delle polemiche sorte dopo la decisione federale di giocare lo spareggio il 24 aprile.
Nella foto sono ritratti, pochi istanti prima del calcio d'inizio, i due capitani: Virgilio Fossati (Internazionale) e Alessandro Rampini II (Pro Vercelli).
Dalle testimoniane dell'epoca, pare che Alessandro Rampini in quell'occasione si presentò con una lavagna e dei gessi che diede a Fossati per poter segnare tutte le reti che i nerazzurri avrebbero realizzato, senza correre il rischio di perderne il conto.
venerdì 4 novembre 2016
LA CARTA DI VIAREGGIO DEL 1926
Lo status dei giocatori
Ultimo aspetto, non certo il meno importante, riguardava
il nuovo “status” del calciatore.
Per
tutto il suo periodo pionieristico il calcio italiano era stato
improntato all'insegna del dilettantismo, come anche rimarcato nel
Regolamento che la F.I.G.C. emanò nel 1909, anche se non mancarono –
possiamo dire da subito – casi di società che per accaparrarsi i
giocatori migliori promettevano loro posti di lavoro e “benefit”1.
Questo atteggiamento della Federazione e del mondo tutto calcistico
italiano si rifaceva all'ideale del gentleman-amateur,
ideale che era arrivato in Italia assieme ai primi rudimenti sul
nuovo gioco: eppure, seppur proprio in Gran Bretagna il
professionismo fosse riconosciuto già a partire dal 1885, qui da noi
l'idea incontrò sempre molte resistenze, se è vero come è vero che
ancora nel 1925 la F.I.G.C., dopo i “casi” dei calciatori Rosetta
e Calligaris, ribadiva con forza la piena condanna al professionismo.
Qualcosa – e non solo in Italia – comunque si stava muovendo e
mutava il quadro d'insieme, nuovi interessi iniziavano a ruotare
attorno al calcio, sempre più imprenditori facoltosi acquistavano
società pronti ad investire cifre importanti per raggiungere le
vittorie2.
A metà anni'20 era ormai inevitabile porsi il problema del
professionismo e dare risposte adeguate.
La Carta di Viareggio recepiva quanto già statuito
dalla F.I.F.A. nel congresso di Roma del 1926 laddove la Federazione
internazionale, pur continuando a proclamare il principio del
dilettantismo per i calciatori, di fatto lasciava alle singole
federazioni nazionali il compito di inquadrare concretamente il
calciatore e quindi – in altre parole – dava loro la possibilità
di prevedere un “compenso” per i giocatori. Ovviamente quel
“compenso” non poteva essere in alcun modo una retribuzione
diretta, ossia elargita in relazione ad una prestazione di gioco, ma
poteva benissimo essere inteso nel senso di “indenizzo” per il
“mancato guadagno” che il calciatore avrebbe subito a causa
dell'attività calcistica.
Leggiamo
dall'Annuario
del Giuoco del Calcio
del 1929:
“Il
Congresso conferma la definizione del dilettante così e come è
stata adottata al Congresso di Parigi. Sulla questione del rimborso
eccezionale del mancato guadagno il congresso, allo stato della
questione (fait
confiance)
affida alle Associazioni nazionali di definire provvisoriamente leur
statut personel”3
Dicevamo,
la Carta di Viareggio si adeguò e, pur non riconoscendo il
professionismo, distinse i calciatori in Dilettanti e Non Dilettanti,
prevedendo per questi ultimi l'obbligo di depositare in Federazione
“copia
degli impegni di rimborso spese e mancato guadagno, firmata dal
rappresentante della Società e dal giocatore”.
Grande
attenzione veniva riservata al controllo dello status di dilettante,
prevedendo, tra l'altro che la Presidenza del C.O.N.I. nominasse una
Commissione del dilettantismo composta da tre membri con il compito
di vigilare sull'applicazione integrale delle norme sul dilettantismo
e prevedendo “gravissime
sanzioni contro i colpevoli, essendo le Società e i giuocatori
solidalmente responsabili”.
Le novità riguardanti i giocatori non finivano però
qua. Si chiudevano le frontiere e si prevedeva che ai campionati
italiani potessero partecipare soltanto giocatori di nazionalità e
cittadinanza italiana, prevedendo, quale norma transitoria per la
stagione successiva, dunque quella del 1926/27, la possibilità per
ciascuna società di tesserare al massimo due giocatori stranieri,
fatto obbligo però di poterne schierare soltanto uno per ogni
partita. Per ciò che riguardava i trasferimenti dei giocatori,
cadeva ogni vincolo territoriale (dal 1922 il calciatore poteva
cambiare squadra soltanto se la sua residenza anagrafica coincideva
con quella del club) ma dovevano comunque sempre essere espressamente
autorizzati dal Direttorio Federale:
a) giuocatori chiamati a prestare servizio militare
(…) per il periodo del servizio effettivo e per una Società avente
sede ove il servizio viene prestato;
b) giuocatori stranieri, già tesserati in Italia
nella stagione 1925-1926, che sono rimasti in soprannumero a norma
delle disposizioni riguardanti la partecipazione dei giuocatori
straneiri al Campionato;
c)
giuocatori che avanti la data del 31 luglio 1926 abbiano avuto
ragioni di insanabile dissenso con la loro Società, per motivi di
eccezione gravità di natura in ispecie morale ovvero giuocatori ai
quali la Società dichiari, motivando, di non voler più conservare
nei propri ruoli4.
Antonio Papa e Guido Panico riportano un dato molto
interessante, comparando il numero dei giocatori retribuiti in Italia
e Inghilterra negli anni'30:
“Nel
corso degli anni'30 la media dei giocatori retribuiti, circa
cinquecento, rappresentò solo l'1% dei tesserati. Ciò nonostante la
percentuale italiana era superiore a quella dei professionisti
inglesi, che costituivano solo lo 0,4% dei giocatori delle società
di football”5
Antonio Ghirelli chiosa
sull'ambiguità che da allora avrebbe caratterizzato la gestione
economico-finanziaria del calcio in Italia riportando ciò che Carlo
Doglio scriveva nel 1952 a proposito dei deleteri effetti della
riforma:
“(...)
nessuna società tra quante ho visitato, si sogna di poter narrare la
propria storia economico-sociale post 1926-27. fino ad allora
l'aneddotica cita anche i centesimi, dopo, silenzio assoluto.”6
Insomma, con questa
riforma epocale il calcio italiano iniziava ad assomigliare molto al
calcio dei nostri tempi, producendo una cesura tra il prima e il
dopo.
1Alessandro,
Bassi, Il football dei pionieri,
Bradipolibri Editore, Ivrea, 2012
2Antonio,
Papa - Guido, Panico, Storia sociale del calcio in Italia,
Il Mulino, Bologna, 1993
4Ibidem
5Antonio,
Papa - Guido, Panico Op. Cit.
6Antonio,
Ghirelli, Op. Cit.
venerdì 28 ottobre 2016
LA CARTA DI VIAREGGIO DEL 1926
La nuova struttura federale
Cambiava un po' tutto. Soprattutto per quel che
riguardava la struttura interna federale, che veniva riorganizzata in
senso strettamente gerarchico, e le cariche stesse che non erano più
elettive bensì a nomina: veniva istituito il Direttorio Federale
composto da 7 elementi tutti eletti direttamente dal C.O.N.I. - e
dunque dal Partito – a capo del quale veniva nominato il gerarca
fascista bolognese Leandro Arpinati; a sua volta il Direttorio
Federale avrebbe nominato tutti gli organi dipendenti, e cioè il
Direttorio delle divisioni superiori (Divisione Nazionale e Prima
Divisione) e il Direttorio delle divisioni inferiori Nord e Sud
(Seconda Divisione Nord, Seconda Divisione Sud, finali interregionali
e Terza Divisione).
Come detto, a capo del Direttorio Federale fu nominato
il gerarca fascista bolognese, amico della prima ora di Benito
Mussolini, Leandro Arpinati, il quale resse la presidenza della
F.I.G.C. dal 1926 al 1933: spostò immediatamente la sede federale da
Torino a Bologna e successivamente – nel 1929 – a Roma, in
concomitanza con la sua nomina a sottosegretario agli interni.
Per il primo biennio la nomina del Direttorio fu dunque
fatta d'autorità dalla Presidenza del C.O.N.I., mentre con la
riforma del 1927, riforma che prevedeva la nomina da parte del capo
del Governo non solo della presidenza del C.O.N.I., ma di tutte le
presidenze delle varie federazioni, la nomina del presidente della
Federazione calcistica sarebbe spettata anch'essa a Mussolini.
Per quel che riguardava il mondo arbitrale, venne
istituito il Comitato Italiano Tecnico Arbitrale (C.I.T.A.),
organismo al quale veniva demandato l'inappellabile giudizio su tutte
le questioni di carattere tecnico relativamente al regolamento di
gioco. Allo stesso Comitato veniva inoltre conferita tutta una serie
di attribuzioni, tra le quali l'attività di aggiornamento e
coordinamento dei regolamenti tecnici di gioco, la nomina, vigilanza,
classificazione e designazione degli arbitri. Presidente
dell'organismo veniva nominato l'avv. Giovanni Mauro.
La riforma dei campionati
Inoltre la riforma seguiva la via tracciata anni prima
dal Progetto di riforma dei campionati ideata da Vittorio Pozzo, teso
all'unificazione territoriale del campionato: venne dunque creata una
Divisione Nazionale formata da 20 squadre divise in due gironi, di
queste ben 16 appartenevano alla Lega Nord alle quali si aggiunse una
diciassettesima individuata tramite torneo di spareggio tra le otto
retrocesse nell'anno precedente; completavano il quadro tre squadre
del centro-sud: le due squadre di Roma, l'Alba, finalista del torneo
precedente, e la Fortitudo, e la novità del Napoli che nato
nell'agosto del 1926 grazie all'opera dell'imprenditore Giorgio
Ascarelli aveva assorbito l'Internaples, cioè la squadra che aveva
acquisito nel campionato precedente il diritto a partecipare alla
Divisione Nazionale.
Il torneo di qualificazione tra le otto squadre del
settentrione non ammesse direttamente prese avvio domenica 29 agosto
1926 e terminò con la ripetizione della finale del 23 settembre.
(a Bologna) MANTOVA – REGGIANA 7 – 3 dts
(a Verona) LEGNANO – UDINESE 2 – 0 Forfait
(a Milano) NOVARA – PARMA 4 – 0
(a Genova) ALESSANDRIA – PISA 6 – 1
Così “La Stampa” commenta l'indomani l'esito del
primo turno di qualificazione:
“La
prima giornata del Torneo di qualificazione è stata caratterizzata
da successi netti, e sui quali non è possibile sollevare dubbi. Del
resto, si può dire che le squadre, le quali hanno superato la prova,
erano le favorite della vigilia: l'Udinese, che per un complesso di
circostanze, non era in grado di allineare la squadra che seppe
fornire un “finisch” di campionato notevole, è stata la sola che
ha voluto...precedere il pronostico, col dar partita vinta al
Legnano.
La sorpresa della giornata è stata la vittoria dei
“virgiliani”: la Reggiana alla vigilia raccoglieva maggiori
suffragi: invece, i “granata” emiliani hanno ceduto nei tempi
supplementari. La sorte della gara venne rimessa a un fattore, che fu
decisivo: la fatica, e infatti i più resistenti hanno avuto la
meglio, e sono passati dal pareggio 3-3 a un 7-3 senza dubbio
eloquente.
L'Alessandria
ha ottenuto la vittoria più convincente della giornata, mentre pure
netta e chiara è stata l'affermazione novarese. La squadra “azzurra”
è stata la sola a non aver violata la sua rete, il che costituisce,
senza dubbio, un successo personale di Faher.” 1
Domenica 5 settembre vennero disputate le semifinali,
entrambe a porte chiuse:
(a Vercelli) ALESSANDRIA – LEGANO 4 – 1
(a Milano) NOVARA – MANTOVA 4 – 3 dts
Nella riunione del 6 settembre, il Direttorio federale,
decideva che la finale tra Alessandria e Novara si sarebbe disputata
domenica 12 settembre sul campo neutro di Casale Monferrato
(a Casale) ALESSANDRIA – NOVARA 2 – 2 dts
A quel punto, terminato l'incontro in parità,
necessitava una seconda partita, che le due squadre chiesero – ed
ottennero – di giocare a Torino, sul campo della Juventus, giovedì
23 settembre; anche se prescritto a porte chiuse, l'incontro si giocò
davanti ad oltre 500 persone e vide il primo tempo chiudersi con il
Novara in vantaggio 1-0. Nella ripresa, l'Alessandria salì di tono e
riuscì a pareggiare dopo dieci minuti e a far suo l'incontro
segnando altre due reti, vincendo e regalandosi così l'ingresso
nella Divisione Nazionale.
(a Torino) ALESSANDRIA – NOVARA 3 – 1
Sempre nella seduta del 6 settembre, alla vigilia della
finale del torneo di qualificazione, il Direttorio decideva la
compilazione dei due gironi della Divisione Nazionale, in base alle
classifiche degli ultimi Campionati con criterio
economico-territoriale, e dei tre gironi della Prima Divisione:
DIVISIONE
NAZIONALE GIRONE A
|
DIVISIONE
NAZIONALE GIRONE B
|
JUVENTUS
|
BOLOGNA
|
MODENA
|
TORINO
|
GENOA
|
PADOVA
|
HELLAS
|
CREMONESE
|
INTERNAZIONALE
|
LIVORNO
|
PRO VERCELLI
|
SAMPIERDARENESE
|
BRESCIA
|
ANDREA DORIA
|
NAPOLI
|
MILAN
|
ALBA AUDACE ROMA
|
FORTITUDO ROMA
|
CASALE
|
ALESSANDRIA
|
Al termine dei due gironi, le prime tre di ciascun
girone avrebbero partecipato ad un girone finale per l'assegnazione
del titolo di Campione Nazionale, mentre le ultime due classificate
di ciascun girone sarebbero state retrocesse in Prima Divisione.
Al
campionato di Prima Divisione partecipavano 32 squadre; il campionato
veniva diviso secondo un criterio geografico in due macro gruppi,
Nord e Sud. Nel raggruppamento Nord giocavano 24 squadre suddivise in
tre gironi da 8 squadre ciascuno, ed era costituito dalle sette
squadre rimaste in categoria nella stagione 1925-26, dalla squadra
dell'U.S. Anconitana – che per ragioni geografiche venne aggregata
al nord – e dalle 16 squadre che avevano conquistato il diritto di
passare dalla seconda alla prima divisione. Nel raggruppamento Sud
partecipavano 8 squadre che vennero scelte in base ai migliori
piazzamenti nei vari gironi regionali del sud, “tenuto
conto della potenzialità dei differenti gironi, designate, in base a
questi criteri, dal Direttorio Federale, su proposta degli enti
competenti”.
Le quattro vincenti dei quattro gironi di prima
divisione sarebbero state promosse in Divisione Nazionale, mentre
l'ultima classificata di ciascun girone (quindi 4 squadre in totale)
sarebbero retrocesse in Seconda Divisione.
Anche la Seconda Divisione prevedeva la suddivisione in
due macro gruppi, Nord e Sud per un totale di massimo 68 squadre. Le
32 squadre del Nord sarebbero state divise in tre gironi da 12
squadre ciascuno, con la vincente di ciascun girone promossa in Prima
Divisione e le ultime due retrocesse in Terza Divisione. Il gruppo
Sud, invece, venne suddiviso in quattro gironi da otto squadre
ciascuno: le quattro vincenti avrebbero disputato la finale a girone
doppio per il titolo e per il posto in Prima Divisione, mentre
l'ultima classificata di ogni girone sarebbe stata retrocessa in
Terza Divisione.
Il
campionato di Terza Divisione, infine, anch'esso diviso tra Nord e
Sud prevedeva che potessero iscriversi “tutte
le società che avessero la libera e piena disponibilità di un campo
da giuoco nelle misure regolamentari e con cinta stabile”.
Ovviamente l'intero campionato era organizzato su base strettamente
regionale: per il Nord i Direttori regionali avrebbero dovuto
provvedere a creare gironi da 10 squadre ciascuno; le vincenti di
ogni girone si sarebbero incontrate su base interregionale per
determinare i sei posti che avrebbero concesso la promozione in
Seconda Divisione. Al Sud i Direttori regionali avrebbero, allo
stesso modo del Nord, creato gironi da otto squadre e le vincenti,
sempre su base interregionale, si sarebbero incontrate per la
conquista dei quattro posti di Seconda Divisione2.
1
Cfr. La Stampa del 30 agosto
1926
venerdì 14 ottobre 2016
LA CARTA DI VIAREGGIO DEL 1926
2. la “fascistizzazione” del calcio
Il calcio italiano degli anni'20 era scosso da violenti
polemiche e duri scontri al proprio interno che fomentavano la già
di suo inquieta folla che sempre più seguiva, discuteva e si
appassionava alle vicende calcistiche. A ciò si accompagnava una
grave crisi finanziaria e di “potere” che attanagliava gli enti
del calcio dell'epoca. Quel che accadde nel 1926 offrì il pretesto
al regime per rafforzare in maniera decisiva la sua presenza e la sua
influenza all'interno delle strutture calcistiche.
Tutto
prese avvio dalla proclamazione di uno sciopero della classe
arbitrale nel maggio di quel 1926, dopo che la Federazione annullò
la vittoria del Casale sul Torino del 7 febbraio a seguito delle
vibranti proteste dei granata adducendo quale motivazione il fatto
che l'arbitro non “avrebbe diretto con la dovuta serenità”
l'incontro1.
Già
da alcuni anni una commissione di “saggi” stava lavorando per una
strutturale riforma del calcio e proprio nella primavera del'26
questa statuì per il Regolamento arbitrale una bizzarra norma che
prevedeva la possibilità per le società di indicare un certo numero
di arbitri “non graditi”, i quali per tutta la stagione non
avrebbero arbitrato quelle squadre. L'Annuario
del Giuoco del Calcio italiano
nell'edizione del 1929 riporta per intero il testo della norma,
prevista all'art.11 del Regolamento degli Arbitri:
“Ogni
società, entro 10 giorni dal ricevimento dell'elenco degli arbitri,
avrà diritto di indicare alla Commissione sportiva (federale) un
numero di arbitri non superiore all'8% del totale contenuto
nell'elenco stesso. La Commissione stessa per tutta la stagione
sportiva iniziantesi, non dovrà destinare tali arbitri alla
direzione delle partite che la società che li ha indicati dovrà
disputare sia sul proprio campo sia su campo avversario.
Le
Società non sono tenute a dichiarare i motivi della indicazione
salvo si tratti di casi di indegnità”2
Ovviamente questa norma non venne accolta bene dal mondo
arbitrale e al termine di una riunione tra tutti gli arbitri, il 30
maggio 1926 l'Associazione degli Arbitri emanò un durissimo
comunicato:
“Il
Consiglio plenario dell'Associazione Italiana degli Arbitri, riunito
ieri a Milano, presa in esame la situazione creatasi in seguito alle
ultime decisioni degli Enti Federali (…) delibera alla unanimità
di invitare i colleghi di tutte le categorie a ritornare alla
Commissione sportiva entro il giorno 5 giugno 1926 la tessera di
arbitro, spontaneamente rinunciando ad assolvere l'ufficio, che non è
più tutelato da leggi scritte, ma è abbandonato all'arbitrio di
parte.3”
In una parola, sciopero.
Insomma c'era il concreto rischio che il campionato non
vedesse la fine perchè ovviamente non si poteva giocare senza
arbitro, ma fu qui che intervenne in maniera decisa il regime. Per
trovare una soluzione venne investito della questione il C.O.N.I. -
ente controllato dal regime – il cui presidente, come abbiamo
visto, già dal 1925 era Lando Ferretti, nominato direttamente da
Mussolini. Ferretti ci mise molto poco ad intervenire: ordinò
l'immediata cessazione dello sciopero arbitrale e la ripresa del
campionato e il 7 luglio nominò una commissione di tre saggi (Mauro,
Foschi, Graziani) con il compito di riformare radicalmente
l'organizzazione calcistica italiana. Nello specifico ai tre esperti
venne demandata la soluzione alle seguenti questioni:
a) Assegnazione delle Società alle varie categorie e
organizzazione dei campionati;
b) Classifica dei giocatori;
c) Sistemazione tributaria;
d) Gerarchie dell'ente
Da quella commissione, il 2 agosto, nel giro di sole tre
settimane, venne emanata la cosiddetta “Carta di Viareggio” che
modificava in senso sostanziale tutta l'attività calcistica italiana
e che successivamente andremo nel dettaglio ad analizzare.
Così il 3 agosto 1926 il quotidiano “La Stampa”
dava la notizia:
“In
una sala del Municipio di Viareggio si è riunita questa mattina e
nel pomeriggio di oggi la presidenza del C.O.N.I. per la sistemazione
della Federazione Italiana del Giuoco del Calcio (…)
Dopo un breve rendiconto finanziario, i convenuti
hanno ricevuto una Commissione delle Società di Prima Divisione
escluse dalla Divisione Nazionale. Nel pomeriggio, poi, ha avuto
luogo un'ampia discussione alla quale hanno preso parte quasi tutti
gli intervenuti e che si è conclusa con l'accettazione della
proposta degli esperti. I punti fondamentali della riforma dell'Ente
calcistico stabiliscono tra l'altro che i giuocatori vengano divisi
in due categorie: dilettanti e non dilettanti.
Alle Società iscritte al Campionato Italiano è
fatto divieto di allineare nei propri ranghi giuocatori di
nazionalità straniera: come norma transitoria è ammesso per gli
anni 1926-27 il tesseramento di due giuocatori da parte di ciascuna
Società, con l'obbligo però di non farne partecipare più di uno
per ciascuna partita. Sono stati poi presi provvedimenti circa il
trasferimento dei giuocatori e si è fissata la data di inizio
Campionato italiano, che verrà diviso in due gruppi.
Si
è proceduto infine alla costituzione di un Comitato Tecnico
arbitrale, con sede a Milano.”4
1Carlo,
F., Chiesa, La grande storia del calcio italiano ,
pubblicata a puntate su GS Guerin Sportivo
3
Cfr. La Stampa del 31
maggio 1926
4
Cfr. La Stampa del 3
agosto 1926
venerdì 7 ottobre 2016
LA CARTA DI VIAREGGIO DEL 1926
1. La “fascistizzazione” dello sport
Con
la metà degli anni'20 il Fascismo iniziò ad interessarsi anche al
mondo dello sport e del calcio, nell'idea di modernizzarne le
strutture esistenti. La stessa F.I.G.C. più volte aveva lamentato lo
scarso interesse dello Stato nei confronti dello sport in generale e
del calcio in particolare, ma qualcosa proprio verso la metà del
decennio iniziò a mutare: la progressiva “fascistizzazione”
delle strutture sociali e statali ad opera del regime toccava anche
il mondo dello sport che intanto si andava legando a quello
dell'istruzione con la legge n. 2247 del 3 aprile 1926, legge che
istituiva l'Opera Nazionale Balilla per l'assistenza e l'educazione
fisica e morale della gioventù. Con detta legge e con i successivi
R.D. Del 20 novembre 1927 e del 12 settembre 1929 il regime “metteva
le mani” sull'insegnamento dell'educazione fisica nelle scuole
attraverso un sistema di controllo nuovo rispetto alle esperienze
passate poiché anche se l'ONB agiva al di fuori della scuola, allo
stesso tempo essa era all'interno della scuola medesima poiché gli
insegnanti di ginnastica passavano direttamente alle sue dipendenze1.
Come appurato dalla storiografia, il Fascismo non si
interessò al fenomeno sportivo, e calcistico in particolare, per
mera passione, bensì per oggettive motivazioni di carattere politico
che spaziavano dalla politica interna alla politica estera.
Già
durante il Primo conflitto mondiale, su molti fronti gli ufficiali
dei vari eserciti ritenevano utile far disputare incontri di calcio,
rugby ed esercizi ginnici ai soldati al fine di temprarne e formarne
il carattere e il fisico, durante le lunghe giornate in trincea.
Mussolini – dal canto suo – pare aver assorbito e condiviso
questa visione, in quanto riteneva che la pratica sportiva fosse
necessario completamento della preparazione militare del “cittadino
soldato”: è la chiusura di un percorso iniziato nel negli anni'30 del XIX secolo quando
sotto il Re di Sardegna Carlo Alberto a Torino lo svizzero Rodolfo
Obermann aprì una prima scuola di educazione fisica per gli
artiglieri e proseguito quindi con l'introduzione da parte del
Ministero della Guerra dell'obbligatorietà della ginnastica
nell'addestramento militare2.
Lando
Ferretti, gerarca fascista e presidente del C.O.N.I. dal 1925 al
1928, spiega molto bene quale fu l'approccio del Fascismo allo sport
in un estratto dal fondamentale lavoro di Antonio Ghirelli “Storia
del calcio in Italia”:
“Politico
– e solo politico! - Mussolini vide, anche nello sport, e apprezzò
il lato politico. Per essere più precisi: la sua funzione
politico-sociale. All'inizio lo sport indubbiamente era, ed è,
nemico della lotta di classe, affratellatore e livellatore di gente
proveniente dai più diversi ceti, tutta fusa da una passione comune
e tesa verso la stessa meta. Inoltre costituisce, coi suoi
spettacoli, il diversivo migliore per la gioventù, altrimenti
convogliata verso attività di partiti politici.”3
Renato
Ricci, animatore dell'ONB spiegava cosa si dovesse intendere per
educazione fisica: “(...)
quel complesso di attività fisiche volontarie che sono in grado di
conservare e migliorare lo stato di salute e le forze fisiche e di
vivificare e disciplinare le qualità dello spirito.4”
Oltre
a questo, lo sport serviva al regime per raggiungere anche un altro
importante scopo, quello cioè di infondere negli italiani un marcato
sentimento di orgoglio nazionale. Per arrivare a ciò indispensabile
fu la figura dell'atleta che mietendo successi in campo
internazionale da un lato aumentava il senso di appartenenza delle
masse e dall'altro ingigantiva il prestigio internazionale di
Mussolini e del regime stesso. A tal proposito, interessante è
riportare qua, attraverso sempre il lavoro del Ghirelli, le parole
che Mussolini pronuncia in occasione del raduno del 28 ottobre 1934 a
Roma di tutti gli atleti italiani:
“Voi,
atleti di tutta Italia, avete dei particolari doveri. Voi dovete
essere tenaci, cavallereschi, ardimentosi. ricordatevi che quando
combattete oltre i confini, ai vostri muscoli e soprattutto al vostro
spirito è affidato in quel momento l'onore e il prestigio sportivo
della Nazione. Dovete quindi mettere tutta la vostra energia, tutta
la vostra volontà, per raggiungere il primato in tutti i cimenti
della terra, del mare e del cielo.”5
1Guido,
Pizzamiglio, L'evoluzione dell'educazione fisica e sportiva nella
scuola media italiana dalla riforma Gentile ai giorni nostri,
sta in Scritti di storia e legislazione scolastica,
Casanova, Parma, 1993
2Giacomo,
Zanibelli, La scuola al fronte: l'educazione fisica come
strumento di “vocazione” patriottica. Dalle sonnacchiose aule
dell'italietta alla trincea. Il caso senese,
sta in Lo sport alla Grande Guerra,
Quaderni della SISS, n.4 Serie Speciale, 2015
3
Antonio, Ghirelli, Storia del calcio in Italia,
Einaudi, Torino, 1967
4Guido,
Pizzamiglio, Op. cit.
5
Cfr. La Stampa del 29
ottobre 1934
martedì 2 agosto 2016
LA CARTA DI VIAREGGIO DEL 1926
Il calcio italiano degli anni'20, come sappiamo, era
scosso da violenti polemiche e duri scontri al proprio interno che
fomentavano la già di suo inquieta folla che sempre più seguiva,
discuteva e si appassionava alle vicende calcistiche. A ciò si
accompagnava una grave crisi finanziaria e di “potere” che
attanagliava gli enti del calcio dell'epoca. Quel che accadde nel
1926 offrì il pretesto al regime per rafforzare in maniera decisiva
la sua presenza e la sua influenza all'interno delle strutture
calcistiche.
Tutto prese avvio dalla proclamazione di uno sciopero
della classe arbitrale nel maggio di quel 1926, dopo che la
Federazione annullò la vittoria del Casale sul Torino del 7 febbraio
a seguito delle vibranti proteste dei granata adducendo quale
motivazione il fatto che l'arbitro non avrebbe diretto con la dovuta
serenità l'incontro.
Già
da alcuni anni una commissione di “saggi” stava lavorando per una
strutturale riforma del calcio e proprio nella primavera del'26
statuì per il Regolamento arbitrale una bizzarra norma che prevedeva
la possibilità per le società di indicare un certo numero di
arbitri “non graditi”, i quali per tutta la stagione non
avrebbero arbitrato quelle squadre. L'Annuario
del Giuoco del Calcio italiano
nell'edizione del 1929 riporta per intero il testo della norma,
prevista all'art.11 del Regolamento degli Arbitri:
“Ogni
società, entro 10 giorni dal ricevimento dell'elenco degli arbitri,
avrà diritto di indicare alla Commissione sportiva (federale) un
numero di arbitri non superiore all'8% del totale contenuto
nell'elenco stesso. La Commissione stessa per tutta la stagione
sportiva iniziantesi, non dovrà destinare tali arbitri alla
direzione delle partite che la società che li ha indicati dovrà
disputare sia sul proprio campo sia su campo avversario.
Le Società non sono tenute a dichiarare i motivi
della indicazione salvo si tratti di casi di indegnità”
Ovviamente questa norma non venne accolta bene dal mondo
arbitrale e al termine di una riunione tra tutti gli arbitri, il 30
maggio 1926 l'Associazione degli Arbitri emanò un durissimo
comunicato:
“Il
Consiglio plenario dell'Associazione Italiana degli Arbitri, riunito
ieri a Milano, presa in esame la situazione creatasi in seguito alle
ultime decisioni degli Enti Federali (…) delibera alla unanimità
di invitare i colleghi di tutte le categorie a ritornare alla
Commissione sportiva entro il giorno 5 giugno 1926 la tessera di
arbitro, spontaneamente rinunciando ad assolvere l'ufficio, che non è
più tutelato da leggi scritte, ma è abbandonato all'arbitrio di
parte”
Per farla breve, sciopero.
Lando Ferretti |
Insomma c'era il concreto rischio che il campionato non
vedesse la fine perchè ovviamente non si poteva giocare senza
arbitro, ma fu qui che intervenne in maniera decisa il regime. Per
trovare una soluzione venne investito della questione il C.O.N.I. -
ente controllato dal regime – il cui presidente già dal 1925 era
Lando Ferretti, nominato direttamente da Mussolini. Ferretti ci mise
molto poco ad intervenire: ordinò l'immediata cessazione dello
sciopero arbitrale e la ripresa del campionato e il 7 luglio nominò
una commissione di tre saggi (Mauro, Foschi, Graziani) con il compito
di riformare radicalmente l'organizzazione calcistica italiana. Nello
specifico ai tre esperti venne demandata la soluzione alle seguenti
questioni:
a) Assegnazione delle Società alle varie categorie e
organizzazione dei campionati;
b) Classifica dei giocatori;
c) Sistemazione tributaria;
d) Gerarchie dell'ente
Da quella commissione, nel giro di sole tre settimane,
venne emanata e sottoposta all'approvazione del C.O.N.I. il 2 agosto
1926 la cosiddetta “Carta di Viareggio” che modificava in senso
sostanziale tutta l'attività calcistica italiana.
Così
La
Stampa
del 3 agosto riportava la notizia:
“In
una sala del Municipio di Viareggio si è riunita questa mattina e
nel pomeriggio di oggi la presidenza del C.O.N.I. per la sistemazione
della Federazione Italiana del Giuoco del Calcio. (…) dopo un breve
rendiconto finanziario, i convenuti hanno ricevuto una Commissione
delle Società di Prima Divisione escluse dalla Divisione Nazionale.
Nel pomeriggio, poi, ha avuto luogo un'ampia discussione alla quale
hanno preso parte quasi tutti gli intervenuti, e che si è conclusa
con l'accettazione delle proposte degli esperti. I punti fondamentali
della riforma dell'Ente calcistico stabiliscono tra l'altro che i
giuocatori vengano divisi in due categorie: dilettanti e non
dilettanti.
Alle Società iscritte al Campionato italiano è
fatto divieto di allineare nei propri ranghi giuocatori di
nazionalità straniera: come norma transitoria è ammesso per gli
anni 1926-27 il tesseramento di due giuocatori da parte di ciascuna
Società, con l'obbligo però di non farne partecipare più di 1 per
ciascuna partita. Sono stati poi presi provvedimenti circa il
trasferimento dei giocatori e si è fissata la data di inizio
Campionato italiano, che verrà diviso in due gruppi.
Si è proceduto infine alla costituzione di un
Comitato Tecnico arbitrale, con sede a Milano”
Cambiava un po' tutto, quindi. Soprattutto per quel che
riguardava la struttura interna federale che veniva riorganizzata in
senso strettamente gerarchico e le cariche stesse che non erano più
elettive bensì a nomina: veniva istituito un Direttorio Federale
composto da 7 elementi tutti eletti direttamente dal C.O.N.I. - e
dunque dal Partito – a capo del quale veniva nominato il gerarca
fascista bolognese Leandro Arpinati; a sua volta il Direttorio
Federale avrebbe nominato tutti gli organi dipendenti, e cioè il
Direttorio delle divisioni superiori (Divisione Nazionale e Prima
Divisione) e il Direttorio delle divisioni inferiori Nord e Sud
(Seconda Divisione Nord, Seconda Divisione Sud, finali interregionali
e Terza Divisione).
Inoltre la riforma seguiva la via tracciata anni prima
dal Progetto di riforma dei campionati ideata da Vittorio Pozzo, teso
all'unificazione territoriale del campionato: venne dunque creata una
Divisione Nazionale formata da 20 squadre divise in due gironi, di
queste ben 16 appartenevano alla Lega Nord alle quali si aggiunse una
diciassettesima individuata tramite torneo di spareggio tra le otto
retrocesse nell'anno precedente; completavano il quadro due squadre
del sud e d'ufficio la romana Fortitudo. Era un ulteriore e decisivo
passo verso il Girone Unico del 1929/30.
Ultimo aspetto, non certo il meno importante, riguardava
il nuovo “status” del calciatore. La Carta di Viareggio recepiva
quanto già statuito dalla F.I.F.A. nel congresso di Roma del 1926
laddove la Federazione internazionale, pur continuando a proclamare
il principio del dilettantismo per i calciatori, di fatto lasciava
alle singole federazioni nazionali il compito di inquadrare
concretamente il calciatore e quindi – in altre parole – dava
loro la possibilità di prevedere un “compenso” per i giocatori.
Ovviamente quel “compenso” non poteva essere in alcun modo un
compenso diretto, ossia elargito in relazione ad una prestazione di
gioco, ma poteva benissimo essere inteso nel senso di “risarcimento”
per il “mancato guadagno” che il calciatore avrebbe subito a
causa dell'attività calcistica. Capirete bene che si è al cospetto
di un capolavoro linguistico...
Dicevamo,
la Carta di Viareggio si adeguò e, pur non riconoscendo il
professionismo, distinse i calciatori in Dilettanti e Non Dilettanti,
prevedendo per questi ultimi l'obbligo di depositare in Federazione
“copia
degli impegni di rimborso spese e mancato guadagno, firmata dal
rappresentante della Società e dal giocatore”.
Sull'argomento, per la portata in sé e per l'influenza
che ebbe nel calcio a venire, torneremo a settembre con un
approfondimento in tre puntate.
martedì 26 luglio 2016
CHI VINSE IL CAMPIONATO ITALIANO 1914/15?
Genoa |
L'1 e il 2 agosto 1914,
mentre l'Italia dichiarava la sua neutralità nel conflitto bellico
che stava scoppiando sempre più fragoroso, a Torino durante
l'assemblea federale venne deliberato il nuovo organigramma del
campionato, il quale, per quanto riguarda il nord, venne suddiviso in
6 gironi formati da 6 squadre ciascuno, secondo il criterio della
regionalità; al termine delle eliminatorie, le migliori due di
ciascun girone e le quattro migliori terze avrebbero formato i
quattro gironi di semifinale, ciascuno di quattro squadre. Le
vincenti di ciascun girone di semifinale avrebbero quindi formato il
girone finale che avrebbe laureato il vincitore. Per il centro
vennero organizzati due gironi, uno toscano e uno laziale; le
migliori due di ciascun girone avrebbero formato il girone finale.
Completava il quadro il – chiamiamolo così – girone campano al
quale erano iscritte due sole squadre, entrambe di Napoli, il cui
vincitore avrebbe disputato la finale del centro-sud con la vincente
del girone finale del centro. La vincente di questa finale avrebbe
incontrato nella finalissima nazionale la vincente del girone nord.
Insomma, fatte salve poche e lievi modifiche, il campionato 1914/15
si sarebbe svolto come quello precedente.
Internazionale |
Il campionato al nord
iniziò il 4 ottobre, mentre al centro prese il via domenica 1°
novembre 1914. Durante i primi mesi del 1915, mentre la guerra si
faceva sempre più aspra, dura e lunga, l'Italia – come ho
raccontato nel mio 1915, Dal football alle trincee
(Bradipolibri, 2015) – arrivò prima a stipulare il Patto
con le forse alleate e quindi a dichiarare guerra al suo alleato,
l'Austria-Ungheria.
Il 22 maggio 1915 veniva
proclamato lo stato di guerra e il 23 l'Italia entrava in guerra; lo
stesso giorno veniva sospeso il campionato di calcio, quando mancava
una giornata al termine sia nel girone del nord sia nel girone del
centro.
La classifica dei due
gironi era la seguente:
ITALIA
SETTENTRIONALE
GENOA 7
TORINO 5
INTERNAZIONALE 5
MILAN 3
ITALIA
CENTRALE
LAZIO 8
ROMAN 6
PISA 6
LUCCA 0
le partite ancora da
disputare, in programma per il 23 maggio erano queste:
GENOA-TORINO
MILAN-INTERNAZIONALE
PISA-ROMAN
LAZIO-LUCCA
Come abbiamo
detto, la formula prevedeva che la vincente del girone nord
incontrasse in finalissima chi fosse risultato vincitore tra la
vincente del girone centrale e la vincente del girone campano. La
precisazione non appare di poco conto, e adesso vediamo perché.
Lucca |
Nel girone
finale del centro molta confusione desta la posizione del Lucca
poiché alcune fonti danno per certo e per notificata alla F.I.G.C.
la rinuncia al campionato della squadra toscana per problemi d natura
economica, mentre altre fonti tacciono sul punto o addirittura
parlano di incontro che verrà recuperato. Ammesso quindi che la
Lazio avesse effettivamente vinto il girone, rimaneva comunque da
disputare la finale del centro-sud contro la vincente del girone
campano, girone che in realtà era un'eliminatoria tra le due squadre
di Napoli, il Naples e l'Internazionale. Dette squadre giocarono le
due partite in aprile ma entrambi gli incontri vennero annullati per
tesseramenti irregolari di un paio di giocatori e programmati
nuovamente per il 14 e 21 maggio: come sappiamo, l'incontro del 14
venne regolarmente giocato e vide la vittoria dell'Internazionale, ma
non venne mai giocato il ritorno. Con la dichiarazione di guerra
tutto venne sospeso e al termine del conflitto bellico la F.I.G..C.
decise di premiare il Genoa. La decisione di assegnare il titolo alla
squadra genovese venne definitivamente presa nel 1921, ma già nel
1919 la decisione era pressoché certa e ufficiale, tanto da essere
riportata anche dagli organi di informazione e ciò pare abbia
portato Torino e Internazionale di Milano ad alzare la voce e a far
sentire le evidentemente legittime proteste; di analoghi reclami
presentati da Lazio e Internazionale di Napoli, invece, non ne ho
rinvenuto traccia.
Torino |
A ben
vedere, dunque, la decisione federale di assegnare il titolo di
campione d'Italia al Genoa presta il fianco a più di una critica. In
realtà fu un errore che già Emilio Colombo sulle colonne de Lo
Sport Illustrato
del 10 giugno 1915 si augurava non venisse compiuto, ma le sue parole
non vennero ascoltate e così, terminata la guerra, la Federazione
accolse le lagnanze e le richieste dei genoani senza curarsi di
eventuali altri pretendenti. Che in realtà c'erano ma, come abbiamo
visto, o protestarono flebilmente o non si mossero affatto per
ottenere un riconoscimento. Internazionale di Milano, Torino, Lazio e
Internazionale di Napoli teoricamente
erano – al momento dell'interruzione – ancora in lizza per la
vittoria finale.
La
F.I.G.C. assegnò il titolo al Genoa principalmente per due ragioni:
una, diciamo così, di politica sportiva e l'altra più schiettamente
di campo. Quella politica è la più rilevante, a modesto parere di
chi scrive. La Federazione dell'epoca era molto diversa da quella
attuale, molto legata agli ambienti nordisti
e assegnare il titolo al Genoa aveva il significato di premiare
una società che aveva avuto un ruolo di assoluto primo piano negli
anni pionieristici del football nostrano e che ancora aveva parecchi
dirigenti attigui agli ambienti federali. Inoltre un'altra ragione
che aveva fatto propendere la Federazione per questa decisione era
l'assoluto divario tecnico che esisteva tra le squadre del nord e
quelle del sud, divario oggettivo: da quando (stagione 1912/13) il
campionato di prima categoria era stato aperto anche alle squadre del
centro-sud, la finale si era sempre risolta in una passeggiata
per le squadre del nord e la stessa stampa nazionale per celebrare il
campione d'Italia non aspettava certo la finalissima nazionale, ma i
titoli e gli elogi li spendeva già per chi vinceva la finale del
nord, identificando quella finale con la finalissima.
I
fatti sono ormai accaduti, rimetterci mano oggi non mi sembra né
saggio né storicamente corretto.
venerdì 10 giugno 2016
WALKIN'ON THE FOOT-BALL: EDOARDO BOSIO
Con tutta probabilità il
primo pallone da football l'ha portato in Italia lui. Edoardo Bosio,
torinese di origini elvetiche, era un impiegato di una ditta inglese
di Nottingham e spesso viaggiava verso l'Inghilterra per lavoro: là,
conobbe il football e se ne innamorò tanto che da uno di questi
viaggi si portò dietro un paio di palloni e subito coinvolse i suoi
colleghi della ditta Thomas &
Adams nel gioco del football association,
come allora veniva chiamato il calcio. Il luogo è Torino, la Torino
della Belle Epoque,
con le sue strade, i suoi tabarin,
e i suoi sogni di futuro. L'anno è il 1887 quando lo stesso Bosio
con i suoi colleghi crea la prima squadra di calcio in Italia, il
Football
and Cricket Club di Torino,
con tanto di divisa ufficiale che prevedeva una camicia a righe rosse
e nere con colletto bianco, squadra che – come tradisce il nome –
avrebbe permesso ai propri soci di praticare il cricket, il football
e, in estate, il canottaggio, primo grande amore di Bosio.
Il Savoia nel 1889. Bosio è l'ultimo a destra |
Sì,
il canottaggio perchè Bosio è stato anche un famoso vogatore
pluridecorato della Società Armida.
Da una cronaca apparsa nel numero del 14 giugno 1891 de La
Gazzetta del Popolo della Domenica
riusciamo a farci un'idea del personaggio, del suo talento e del suo
aspetto fisico: “Il signor Bosio Edoardo, 3° voga,
partecipò col Nicola alle regate di Venezia e Casale, vincendo nelle
prime il 2° premio in canoa e il 1° in jola alle seconde. Nel 1888
a Torino, partecipò alle gare di canoa a quattro e a due, vincendo i
primi premii. Partecipò alla gara della Coppa alle regate di
campionato a Stresa. Ha 24 anni, pesa 72 chilogrammi, misura metri
1,81 d'altezza.”
Torino
in quegli anni è un gran fermento, anche gli ambienti sabaudi si
interessano al nuovo gioco e nel 1889 grazie soprattutto a Luigi
Amedeo di Savoia – futuro Duca degli Abruzzi – il barone Cesana e
il Marchese Alfonso Ferrero di Ventimiglia, un gruppo di
aristocratici formano la loro squadra di calcio. Che chiamano, magari
senza slancio particolarmente fantasioso – Nobili,
con colori sociali gialli e blu quale omaggio ai colori cittadini.
Due anni e parecchie sfide più tardi le squadre di Bosio e dei
nobili si fondono per dar vita all'Internazionale di Torino e proprio
con questa squadra troviamo Bosio impegnato a dar calci al pallone,
in amichevole come in campionato.
Paertecipa a quella che viene considerata la prima sfida tra due squadre di città diverse mai disputata in Italia, il 6 gennaio 1898 tra il Genoa e una "mista" composta da giocatori dell'Internazionale e il Football Club Torinese, ma c'è
un breve trafiletto de La Gazzetta dello Sport
del 26 dicembre 1897 che riferisce di una partita amichevole giocata
dalle due squadre di Torino, l'Internazionale contro il Football
Club, dove si parla proprio del Bosio giocatore: “(...)
Edoardo Bosio, il vecchio giocatore, sembra dare dei punti ai più
giovani, corretto ed agile come se avesse ancora vent'anni.”
In
campionato, è presente nelle prime tre edizioni: nel 1898 e 1899
giocando appunto con l'Internazionale e nel 1900 con il F.C.
Torinese, che nel frattempo aveva assorbito l'Internazionale. Proprio
in quell'ultimo anno durante la semifinale giocata il 15 aprile segna
ben tre reti al Milan qualificandosi così, con la sua squadra, per
la finale che poi perderà contro il Genoa. Inoltre è presente
all'incontro giocato a Torino il 30 aprile 1899 tra una
rappresentativa di giocatori che partecipavano al campionato italiano
e una rappresentativa di giocatori militanti nel torneo svizzero,
partita quella che costituisce il primo incontro internazionale
giocato in Italia.
Pare
quasi scontato dirlo ma Bosio fu anche tra i fondatori nel 1898 della
Federazione Italiana del Football (poi F.I.G.C.). Per concludere, da
segnalare anche che si cimentò nel cinema nel 1914 come regista e
fotografo del cortometraggio La vita negli abissi del mare.