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martedì 2 settembre 2014

Reazioni italiane all'ultimatum dell'Austria-Ungheria alla Serbia

Immediatamente dopo la notizia dell'ultimatum, Di San Giuliano subito telegrafò ad Avarna e Bollati incaricandoli di comunicare ai ministri degli Esteri presso cui erano accreditati, che se l'Austria-Ungheria avesse proceduto ad occupazioni territoriali senza il consenso dell'Italia, avrebbe violato l'art. VII. In più, aggiunse che in caso di guerra, trattandosi di azione aggressiva da parte dell'Austria-Ungheria, l'Italia non aveva l'obbligo di intervenire, e, comunque, un intervento italiano avrebbe potuto trovare una giustificazione agli occhi dell'opinione pubblica, solo se fosse stato possibile fornire a questa la certezza di un vantaggio corrispondente ai rischi.1
Le prime reazioni vennero da Berlino: il 25 Bollati riferì di aver prospettato a Jagow quale potesse essere la qualità dei compensi, e cioè la cessione del Trentino e la contemporanea cessione di Valona a titolo di garanzia. Jagow "trovava perfettamente giustificata la seconda domanda. Quanto alla prima, egli diceva che naturalmente le difficoltà sarebbero state grandissime, ma che forse momento non sarebbe stato mai più opportuno per tentarla"2 Bollati il 26 con telegramma fece sapere che Jagow, non solo condivideva l'interpretazione italiana dell'art. VII, ma aveva dato istruzioni a Tschirschky per discuterne, raccomandando, comunque, di inoltrare le richieste direttamente a Vienna; Avarna, intanto, confermava di aver avuto assicurazione da Tschirschky che questi si stava adoperando per indurre il governo di Vienna ad una soluzione pratica riguardo la questione dei compensi.3 Di San Giuliano, dal canto suo, non ritenne di dover seguire quanto suggeritogli da Jagow, come scrisse a Bollati
"…non sono possibili trattative dirette fra Italia ed Austria. Esse condurrebbero a una quasi certa rottura. E' urgentissimo che tali trattative vengano iniziate per opera della Germania. Unico compenso territoriale possibile per noi è la cessione di una parte delle provincie italiane dell'Austria corrispondente al suo ingrandimento territoriale altrove"4
Il 27 la situazione peggiorava. Di San Giuliano rompeva gli indugi e si spingeva anche oltre il timore di una rottura; infatti scrisse ad Avarna e a Bollati che un ingrandimento territoriale austriaco avrebbe costituito una violazione del trattato e che l'Italia si sarebbe potuta indurre ad allinearsi alla Russia e alle altre Potenze. Di fronte alle tergiversazioni austriache Di San Giuliano incominciava ad irritarsi, e così il 28 luglio inviò tre telegrammi quasi contemporaneamente, coi quali intese stringere i tempi con gli alleati. Nel primo dichiarava:
Non vedo bene perché ci debba riuscire difficile di sostenere contemporaneamente le due tesi del diritto al compenso e del non obbligo a partecipare alla guerra. Mi pare che la seconda tesi serva a dar forza alla prima, perché può porre condizioni meglio chi non è obbligato che chi lo è…"5
Affermazione, questa, importante perché si fondava sul principio – rafforzandolo - per cui la partecipazione alla guerra, obbligatoria ai fini difensivi, era del tutto indipendente dall'obbligo ai compensi quando fosse stato alterato lo status quo.
Nel secondo telegramma Di San Giuliano ripeteva che finché Berchtold non avesse accettato l'interpretazione italiana e tedesca dell'art. VII, di fatto non sarebbe esistita Triplice Alleanza nelle questioni balcaniche, perché l'Italia avrebbe dovuto seguire una politica conforme a quella di tutte quelle Potenze che al pari dell'Italia avevano l'interesse ad impedire qualsiasi ingrandimento territoriale austriaco; nel terzo telegramma, infine, veniva ancora ribadito che la condotta austriaca escludeva per l'Italia il casus foederis.6


1 DDI, Serie IV, vol. XII, nn.° 468,488
2 DDI, Serie IV, vol. XII, n°524
3 DDI, Serie IV, vol. XII, nn°550,556
4 DDI, Serie IV, vol. XII, n°575
5 DDI, Serie IV, vol. XII, n°671
6 DDI, Serie IV, vol. XII, nn°672,673

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