Il
28 giugno 1914 tra le vie di Sarajevo, sopra la folla, si udirono
degli spari. Due di essi colpirono l'erede al trono d'Austria,
l'arciduca Francesco Ferdinando e sua moglie. La mano che armò
quell'arma e che con quel gesto cambiò per sempre i destini di
milioni di persone era di uno studente bosniaco, Gavrilo Princip,
membro di un'organizzazione irredentista che aveva la sua base
operativa in Serbia, e godeva di una certa tolleranza da parte del
governo di quel paese. Già il giorno dopo, con un telegramma
indirizzato a Di San Giuliano, l'incaricato d'affari austriaco a
Belgrado Cora faceva presente la sua viva preoccupazione e il timore
di rappresaglie e persecuzioni contro l'elemento serbo in
Austria-Ungheria.1
Iniziava
così, con due colpi di rivoltella, il cammino verso il primo grande,
tragico conflitto mondiale. In Italia, nei giorni successivi, mentre
le pagine dei quotidiani si riempivano di sinistri presagi futuri,
quella che piano piano stava diventando una piccola folla di
appassionati al gioco del calcio si apprestava a vivere gli ultimi
tempi della belle epoque interessandosi alla lotta per il
titolo di campione d'Italia per la stagione 1913-14 con la doppia
finale tra Casale, vincitore a sorpresa nell'Italia settentrionale, e
Lazio, vincitrice per l'Italia centro-meridionale e per la seconda
volta consecutiva all'appuntamento con la gloria.
Le
cose sul fronte internazionale peggiorarono nei giorni successivi,
quando nell'opinione pubblica austriaca l'attentato produsse una
grande ostilità ed un vivo rancore contro la Serbia. A fomentare
ancor più questi sentimenti ci pensò la stampa serba, la quale
tentò quasi di giustificare l'assassinio adducendo l'inopportunità
della visita dell'arciduca: l'ambasciatore italiano a Vienna, Avarna,
il 2 luglio faceva presente tutto questo al ministro degli Esteri
italiano, Di San Giuliano, aggiungendo che la stessa stampa viennese
- specialmente la Reichspost - soffiava ancor più sulle braci
scrivendo che quanto era accaduto dimostrava come fosse inevitabile
in un tempo non lontano la guerra tra Austria-Ungheria da una parte e
la Serbia e la Russia dall'altra.2
In Italia Di San Giuliano, dal canto suo, non celava un certo
pessimismo, come risulta da un telegramma inviato ad Avarna e Bollati
il 4 luglio, nel quale esprimeva la sua inquietudine per la
situazione generale e per il pericolo di serio turbamento, che
minacciava i rapporti tra Italia ed Austria-Ungheria.3 Gaetano
Salvemini ci notizia riguardo i primi scambi di idee avvenuti a
Vienna in quello stesso 2 luglio tra Berchtold e l'ambasciatore
tedesco Tschirschky sull'azione che il governo austriaco progettava
contro la Serbia. Il tedesco osservò che "l'Italia avrebbe
dovuto essere consultata prima che l'Austria intraprendesse un'azione
capace di condurre alla guerra, data la sua condizione di alleata",
ma Berchtold si oppose sostenendo che se Roma fosse stata consultata
prima, avrebbe sicuramente chiesto in compenso Valona, cosa che il
governo austriaco non poteva concedere. Perciò il 5 luglio si
convenne che il governo di Roma non dovesse essere né consultato né
informato in precedenza, e il 15 Berchtold e Merey stabilirono che
l'ultimatum alla Serbia fosse comunicato a Roma solo un giorno prima
della presentazione a Belgrado.4
In
Italia, come abbiamo detto, l'attenzione degli amanti del football
era rivolto alla finalissima che ebbe luogo il 5 e 12 luglio. La
partita di andata, giocata sul campo di Casale Monferrato, vide la
nettissima vittoria dei padroni di casa per 7-1 che segnarono con le
doppiette di Varese e Ravetti, e poi con le reti di Mattea, Ferraris,
Gallina II, come ci ricorda Luca Rolandi nel suo ottimo lavoro Quando
comandava il Quadrilatero5.
Così, inoltre, La Stampa
racconta quell'incontro:
“(...)
Negli ambienti sportivi era vivissima l'aspettativa di vedere alla
prova i migliori campioni del giuoco del calclcio delle regioni
centrali, meridionali ed insulari d'Italia, contro il più agguerrito
e forte plotone che possa attualmente vantare lo sport calcistico
nazionale. Diremo subito che la squadra laziale è sorretta da un
coraggio altamente encomiabile. La squadra del Lazio manca, a dire il
vero, di quella tecnica di giuoco, di passaggio e di sostituzioni che
sono vanto e dote precipuo delle squadre del settentrione, e il suo
giuoco, si può dire, ancora bambino, privo di astuzia, di
sottigliezza, e quindi troppo chiaro e troppo aperto all'occhio
esperto dell'avversario. Ed ha anche il difetto di essere troppo
individuale: gli avanti non formano un tutto organico, fuso,
lavoranti di conserva, ma si abbandonano ad un giuoco pieno di
impeto, ma privo di scienza, che viene facilmente fermato e rotto da
uomini più che altro deicsi. Ad ogni modo, gli azzurri hanno
combattuto con animo e valore e furono, specie il portiere Servente,
degni di encomio, e calorosamente applauditi dall'imponente pubblico
che gremiva la tribune e assediava ogni angolo del campo.”6
Mentre
Di San Giuliano, con una lettera indirizzata all'ambasciatore
italiano a Berlino, Bollati, mostrava di farsi via via più
pessimista ed iniziava ad avanzare la questione dei compensi facendo
presente la necessità di un'azione germanica a Vienna in favore di
un accordo preventivo italo-austriaco sul futuro dell'Albania7,
la sera di sabato 11 luglio giocatori e dirigenti del Casale
partivano con il treno delle 20.27 in direzione Roma per giocare il
match di ritorno contro la Lazio. A Roma, il 12, la giornata per le
due squadre fu davvero piena. Alla mattina le due squadre vennero
ricevute in Campidoglio dal sindaco, principe Colonna con
l'intervento del sottosegretario alla Marina, on. Battaglieri,
deputato di Casale Monferrato, incontro terminato con un “vermouth
d'onore”; quindi alle 17.30
allo Stadio giocarono la partita davanti ad oltre tremila spettatori,
incontro che vide la vittoria ancora dei piemontesi per 2-08
“Nella città eterna, in un tramonto magnificamente bello di
colori e di luci, tra salve di battimani e grida di evviva, è
gloriosamente finito, sull’infelice terreno della squadra laziale,
il campionato di foot-ball.”9
1
DDI, Serie IV, vol. XII, n°11
2
DDI, Serie IV, vol. XII, n° 52
3
DDI, Serie IV, vol. XII, n° 77
4
GAETANO, SALVEMINI, La politica estera dell'Italia dal 1871 al
1914., pag. 209, Barbera, Firenze, 1944
5
LUCA, ROLANDI, Quando comandava il Quadrilatero,
pagg.64-66, Bradipolibri, Ivrea (TO), 2013
6
Cfr. La Stampa del 6 luglio
1914, n.184
7
DDI, Serie IV, vol. XII, nn° 225,334
8
Cfr. La Stampa del 11
luglio 1914, n. 189 e del 13 luglio 1914, n.191
9
LUCA, ROLANDI, Op. cit.,
dove riprende un brano tratto dal volume 1909-2009. Un
secolo nerostellato, A
cura di Giancarlo Ramezzana e Roberto Cassani, con il prezioso
contributo del prof. Andrea Testa e del giornalista Davide Rota,
curato dall’A.S. Casale calcio e dalla Regione Piemonte, Casale
Monferrato (AL), 2009.,
p. 779 nel quale gli autori riprendono, a loro volta un brano del
volume “Quel magico campionato 1913-1914”
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